Ho proposto un gioco ai bambini e, come succede spesso, poi sono stati loro a farmelo capire. Io pensavo di aver coinvolto i bambini in un gioco fatto di ascolto e riflessione, di esperienza tattile, di reciproca conoscenza e confidenza. Ma era molto di più. È bastato vedere le facce soddisfatte e gioiose di tutti i partecipanti. Avevamo scoperto un gioco dove se vinci o perdi sei contento lo stesso. Senza differenze.
In palestra ho diviso la classe in due file che si fronteggiavano. A turno ogni bambino doveva essere bendato e riconoscere al tatto quanti più componenti della squadra avversaria, fermi immobili davanti a lui, dopo che questi però si erano potuti cambiare di posto, scambiandosi felpe, occhiali e qualsiasi cosa potesse giocare a confondere le mani del cercatore.
Alla fine della carrellata dichiaravo a voce alta i punti realizzati e toglievo la benda, passandola a un bambino della squadra avversaria.
Così abbiamo scoperto un gioco dove se vinci o perdi sei contento lo stesso. Sei naturalmente soddisfatto quando il bambino con la benda non ha indovinato chi sei, perché significa che sei stato bravo a camuffarti e hai dato un punto alla tua squadra. Ma sei inaspettatamente felice anche se le mani che ti toccavano ti hanno riconosciuto. Perché vuol dire che esisti davvero, non puoi sparire, e che dopo cinque anni passati insieme anche al buio le mani di un compagno ti sanno riconoscere tra tanti.
ps
La foto in copertina è di Marco Tibolla
dolcissimo…
caro Flavio sei “tu” che oramai hai questi bambini dentro! Immagino il tuo dolore a dovertene separare ma sono tutti abitanti di quartiere, te li vedrai spesso intorno, nonne comprese… ❤
sì, sarà una separazione dolorosa. Non è facile interrompere una quotidianità che dura da cinque anni, restare sulla porta e vedere i bambini che hai visto crescere andar via, verso le loro nuove avventure. Quella del maestro è una solitudine annunciata, ma non ci si abitua mai.