Ecco cosa mi è capitato durante l’ultimo incontro di campionato. A guardare la scena da una diversa prospettiva si potrebbe dire che fa il verso agli intoppi che un maestro incontra nella quotidiana attività della sua professione. La scuola come il ping pong, ecco l’azzardo. Stai disegnando alberi sulla lavagna spiegando il concetto di inclusione come prodromo necessario alla sottrazione, e bussano alla porta. Finisci con un piede nella bacinella perché:
a) una maestra infida, incurante dei bambini, viene a parlarmi male della mia collega. Le rispondo che quelle cose le dovrebbe dire direttamente a lei e non a me e che, prima di giudicare, bisognerebbe provare a fare 5 ore di viaggio tutti i giorni e svegliarsi alle quattro di mattina per arrivare in classe.
b) una maestra arrogante viene a chiedermi come mai non partecipo al progetto per conquistare la bandierina verde di scuola ecologica. Le rispondo che prima di mettermi a pesare la carta che finisce ogni giorno nel nostro cestino mi piacerebbe che fosse chiamato l’idraulico per aggiustare i rubinetti e gli scarichi nei bagni, perché sono più di 10 anni che perdono e ogni anno ci fanno sprecare l’equivalente di un lago di Garda.
c) una maestra scortese che neanche saluta mi ricorda di dire ai genitori della mia classe che possono versare nelle casse della scuola un contributo volontario che servirà alle spese x e y. Le dico che ha sbagliato classe perché sono fortemente contrario alla questua nella scuola pubblica e dirò ai genitori di non versare un euro.
La scuola come il ping pong dunque. Con la differenza che dopo un inciampo come quello in palestra ti viene da ridere. A scuola no. A scuola, se non ci fossero i bambini, verrebbe voglia di mettersi a gridare.
Capita di inciampare anche a carnevale, anzi, sul carnevale:una bacinella proprio sul portone di scuola mentre mi avvio ad accompagnare i bambini in classe. Il brusio poco festante di alcuni genitori mi trattiene lì, sulla porta. Pretendono una festa scolastica in maschera, perchè i loro figli l’hanno sempre fatta alla scuola materna. Spiego loro che in classe ci sono alunni marocchini e testimoni di geova che hanno il diritto di venire a scuola quanto gli altri bambini e non sarà per una festa di carnevale che rimarranno a casa.. Risposta: ” I testimoni di geova e i marocchini si devono adeguare alle nostre tradizioni, basta avvisare i loro genitori che così se li tengono in casa. Per colpa loro non devono perderci i nostri”. No, no era uno scherzo di carnevale. Sento ancora il sangue che mi bolle nelle vene. Meno male che c’erano i bambini altrimenti avrei gridato davvero, da farmi sentire oltre Tirreno. Ne ho parlato in classe con i piccoli, a fine giornata. Risposta: ” Maè, oggi noi ci siamo divertiti lo stesso”. La verità non ha maschere.
Cavolo, che triste notizia mi dai…. Credevo che almeno in una piccola comunità potesse essere semplice raggiungere il traguardo di una reale partecipazione, di una complicità, di un rispetto reciproco. Che i tempi e gli spazi fossero più a misura d’uomo e permettessero una serena conoscenza corrisposta. Il quadro che dipingi invece racconta la solita storia. Indifferenza, egoismo, arroganza. Che peccato.