Le parole che meritano di esistere sono soltanto quelle migliori del silenzio. Lo scrive Eduardo Galeano. Allora quando mia figlia, osservando l’oblò della lavatrice, mi dice che la camicia frilla, corro per casa ripetendo impazzito il suo neologismo come un bambino che ha improvvisamente scoperto un tesoro. E penso alle parole che non dirò mai in classe ai miei bambini.
L’elenco è presto fatto. Attimino e cortesemente sono di sicuro sul podio. Lo ammetto. Ci sono parole che non sopporto. Perché sono brutte. Perché rivelano senza alcun pudore un vuoto che mi fa paura. Perché sono il sintomo di un abuso sintattico che tuttavia diviene presto una moda. Se è per questo ho sempre provato una spontanea antipatia per le mode. Figurarsi quelle delle parole.
Con i bambini preferisco adottare parole come Pirpaffi, Gnuffoli, Cionfroli o Tafocchi Tassirmani. Aprono la porta della fantasia. E realizzano una magia. Lo stesso sarebbe suonare un arcobaleno.
Concludo. Bukowski scriveva sparatemi se mai userò parole come stelle e luna. A me sembra eccessivo. Però se mi dovesse capitare di usare espressioni come tra virgolette o piuttosto che, un calcio datemelo pure. E bello forte.
p.s.
A proposito della bellezza delle parole vi prego di ascoltare quelle del poeta Fosco Maraini. Per averne un’idea basta la poesia Il lonfo, recitata da Gigi Proietti. Provare per credere. Abbasso attimino. Evviva la metasemantica.