Dico ai bambini che anche la voce è uno strumento musicale. Che possiamo tirarla fuori con tanti timbri e toni diversi. E che usare la voce è una di quelle cose che si impara. I bambini naturalmente ancora non lo sanno fare bene. C’è chi ne usa un filo che quasi non si sente e chi, direi la maggioranza, ha sempre un volume troppo alto, anche quando non serve.
Sarà perché oggi sono un po’ stanco e ho davanti l’irrequietezza esuberante e diseducata di un gruppo sempre troppo vivace, sarà per quella bella candela che abbiamo trovato qualche giorno fa e abbiamo portato in classe come un trofeo, allora mi viene in mente di proporre un esperimento.
Facciamo matematica a lume di candela, dico ai bambini. Immaginiamo di essere a cena in un posto un po’ magico, tipo una locanda che dall’alto di una scogliera veda il mare. Immaginiamo di essere seduti con una persona a cui vogliamo bene. Cerchiamo di usare la voce come dovremmo fare se fossimo davvero lì.
Accendo la nostra candela e la metto sopra la lavagna. Anche guardare soltanto quella luce che brucia lentamente credo che possa servire allo scopo. Abbasso un po’ le serrande per fare la giusta atmosfera.
Provo il tono giusto per un’occasione come quella che ho chiesto di immaginare e inizio a fare domande ai bambini sulle numerazioni, nella calma e nella rilassatezza attesa da tutto un giorno. I bambini hanno capito. Rispondono a turno senza eccessi e intemperanze, con tranquillità. I più irruenti trovano in questo nuovo habitat un giusto contenimento, quelli più fragili emotivamente riescono a dimenticare le ansie. Nessuno prende questo esperimento come l’occasione inaspettata per fare sciocchezze o pagliacciate. Mi chiedo allora se anche i bambini inconsapevolmente desiderassero la calma senza riuscire a trovarne la strada.
Poi il clima sereno e disteso ci fa scavalcare la matematica. Oggi ci sono stati tanti piccoli litigi in classe. Provo a chiedere: se davvero fossimo seduti al tavolino di un’accogliente taverna arrampicata sopra una scogliera, di cosa parleremmo con la persona che è seduta con noi? Parleremmo di noi. Bene, dico, c’è qualcuno che vorrebbe sapere qualcosa da un compagno? A alza la mano. Chiede a un altro A quali siano le sue paure. Le domande che vengono fuori e le parole che seguono sono il segno di una riappacificazione collettiva. Battibeccare al lume di candela proprio non si può.
Caro Maestro,
lasciamelo dire: c’è del genio, nella tua matematica a lume di candela (altro che la massa di abominevoli e costose tecnocianfrusaglie che ci vorrebbero spacciare come toccasana). Io alle superiori con la matematica (e la fisica) mi devo inventare candele non di cera, ma “dello Spirito”, ma certamente la Via – il Tao – è quella che indichi tu. Sempre un piacere leggerti. Un saluto.
Ben detto, condivido. In epoca di cianfrusaglie Flip e soft skills psuedo rivoluzionarie, aria pura in classe di Flavio.
mentre lo leggevo anche il mio cuore si pacificava, Grazie
troppo buoni. Buona a scuola a voi che la fate a lume di candela. Tenete duro
molto suggestivo questo quadro, maestro! Come vedi continuo a leggerti, anche senza Giulio, ed è sempre un piacere. Buona scuola
grazie nonnalaura
Flavio, bellissima esperienza di quiete e riflessione. Grazie, anche se sempre più in contro tendenza
Bellissima esperienza maestro, l’idea della candela è stupenda e penso che prima o poi te la ruberò… Portare la classe al silenzio rimanda all’idea di autorità, come un richiamo all’ordine, o a quella di mancanza, come un vuoto da colmare.
Ma un’altra accezione è possibile se noi insegnanti lo consideriamo come un dono, attraverso il quale possiamo superare il caos, aprirci al modo circostante e imparare ad ascoltare.
Il silenzio va insegnato: con i miei bimbetti di tre-sei anni di tanto in tanto faccio la montessoriana “lezione del silenzio” (vecchia di cent’anni ma sempre valida, anzi oggi più mai). Spiego loro che ogni azione, ogni movimento produce un rumore e per farne diretta esperienza bisogna concentrare l’attenzione sui singoli atti, fino a giungere alla scoperta che anche muovendo un dito possiamo produrre un rumore (in realtà il dito della maestra!). Ma per poterlo ascoltare dobbiamo arrivare ad un silenzio assoluto, profondo… e i bambini ci arrivano spontaneamente, tanto sono presi da questa scoperta.
Ecco sì, silenzio, ascolto, comunicazione, come stazioni di sosta imprescindibili in ogni viaggio di relazione.
In quest’epoca fracassona e nevrotica, il silenzio andrebbe riscoperto e praticato da tutti quale terapia,
Ottimo imparare a scuola da piccoli!
Ciao virginialess. Cosa penso della magia e della necessità del silenzio l’ho scritto qui: https://glioplitidiaristotele.blog/2015/08/31/il-silenzio-abitato-della-montagna/
un abbraccio