Mettiamo che hai un papà che non solo non crede al sistema di valutazione voluto dall’Invalsi. Mettiamo pure che quel papà fa il maestro dissidente e per il rifiuto a somministrare i test è andato tranquillamente dritto verso sanzioni disciplinari e vari gradi di processo davanti al tribunale del lavoro, che poi significa anche aggravi non indifferenti per le sue esigue finanze.
Mettiamo che quel papà ha una figlia che è l’unica della sua classe a non fare quelle prove, nonostante la possibilità che avrebbero tutte le famiglie, volendolo, di interdire la scuola alla somministrazione dei test, rifiutandosi di sottoporre i propri figli all’inutile pagliacciata che tanto dovrebbe prepararli al futuro.
Mettiamo che sua figlia è una bambina timida, introversa, e come succede frequentemente a molti altri bambini adottati che hanno dovuto provare a giustificare l’abbandono di una mamma, anche molto insicura quando deve staccarsi dal coro e con un basso livello di autostima.
Mettiamo che saperla da sola in un angolo della classe mentre tutti i compagni vanno tronfi incontro al compito che li aspetta è una delle cose che non vorrebbe mai. Che poi quei bambini le raccontano fandonie tipo che quel giorno non dovrebbe essere a scuola, che in alternativa ai test Invalsi dovrà sottoporsi a interrogazioni su tutte le materie, e cose del genere, mentre lei non sa cosa rispondere e si fa sempre più piccola. Mettiamo che a immaginare queste scene al papà gli si stringe la pancia dalla tristezza.
Mettiamo tutte queste cose qui. Allora ecco la domanda: è giusto che le convinzioni di un papà debbano essere pagate anche dalla figlia?
Una parte del papà pensa di no. Che faccia pure tutte le battaglie che vuole. Lui. Che si ostini a volersi mettere di traverso, che carichi a testa bassa e accetti le sanzioni previste per chi si ribella a un sistema fallace, tuttavia padrone. Ma perché coinvolgere una bambina che ha la sola colpa di far parte di una classe dove, per un motivo o per un altro, le famiglie e gli insegnanti sono tutti allineati al pensiero dominante?
L’altra parte del papà però non ha mai sopportato che le scelte personali debbano essere portate via dalla corrente e condizionate dalla condotta irragionevole della maggioranza. Ne parla con sua figlia. Non gli piace chiederle qualcosa senza provare prima a darle spiegazioni. Inizia chiarendole l’infondatezza delle frottole sentite dalle compagne. Poi le racconta storie di uomini coraggiosi. Le parla dei primi obiettori di coscienza che finirono in prigione per aver rifiutato il servizio militare, ma che lui non smetterà mai di ringraziare, avendo poi potuto seguire quella strada diventata ormai un diritto sacrosanto. Le descrive la forza poetica che a volte hanno certi cammini quando vanno contromano.
Gli occhi di sua figlia lo guardano. Ha capito che possono essere una squadra. Vinciamo papà? Non lo so Maira, non lo so. Ma sai cosa ha detto una scrittrice americana amica dei bambini che si chiamava Maya Angelou? Un uccellino non canta mai perché ha una risposta. Canta perché ha una canzone.
p.s.
Il disegno in copertina è di Maira
“Un uccellino non canta mai perché ha una risposta. Canta perché ha una canzone.”
Bellissima. Mi ricorda Silesio:
“La rosa è senza perché; fiorisce perché fiorisce,
A se stessa non bada, che la si guardi non chiede”.
Quel papà e quella bimba hanno un grande coraggio, che merita rispetto.
Ci vuole coraggio ad essere poeti Maestro! Ma chi questo coraggio riesce a trovarlo avrà un mondo dentro di sè talmente forte che nessuno potrà mai indebolirlo. Questo ha imparato Maira dal suo papà, e non varranno tutti gli invalsi del mondo!
Ciao Maestro, mi manchi un po’, quando ti avanza un caffè fammelo sapere
Ci vuole coraggio. Ad essere poeti. A essere figli di poeti. A essere maestri. A essere figli di maestri. Ci vuole coraggio a essere figli, coraggio a essere genitori. Tanto sbaglieremo, inevitabilmente. E da qualcuno, forse molti, forse proprio da chi più vorremmo esserlo, non saremo capiti. Mi fa sorridere la sua storia, perché immagino che a breve sarà la mia.