Non è scritto da nessuna parte che per risolvere un problema di matematica tutti debbano seguire lo stesso percorso. È una cosa che si sa. Ma io aggiungerei un altro assunto. Non è scritto da nessuna parte che per risolvere un problema assegnato dal maestro alla fine si debba arrivare tutti al medesimo risultato. I bambini possono anche giungere a numeri diversi e aver risolto comunque il problema.
Noi lo chiamiamo problema aperto. Ad essere aperta veramente è la possibilità di ragionare sul quesito proposto seguendo un percorso personale. Perché non è mai il numero finale l’obiettivo a cui dover tendere, quanto piuttosto il pensiero che a quel numero conduce. E non importa quanto semplice sia il problema o se siamo soltanto in prima elementare. L’esercizio di riflettere, proporzionato nell’utilizzo degli strumenti in campo, è necessario come approccio abituale a qualsiasi situazione problematica.
Facciamo un esempio.
Se AG prepara con l’aiuto dei genitori la festa per il suo compleanno a cui ha invitato i suoi 21 compagni di classe, i 2 cuginetti e l’amichetto che vive al piano di sopra, quante sedie gli serviranno per far sedere tutti intorno al tavolo apparecchiato per la merenda? Il problema si risolve con poche operazioni, ma è il concetto di tutti ad aprire un ventaglio di possibilità ugualmente ammissibili. Il bambino che arriva al numero 24 ha risolto il problema (VS la sedia se la porta da casa perché dalla sedia a rotelle non si può separare), ma lo ha fatto anche chi mi dice che il risultato è 26 perché per lui si siederanno al tavolo anche i genitori di AG, o chi aggiunge anche gli zii o i nonni. O chi elimina una seduta perché dice che R e S sono fidanzati e potrebbero stare sulla stessa sedia.
L’immaginario e le riflessioni del bambino si aprono davanti a quel tutti, così ogni ragionamento che aggiunge o toglie sedie con coerenza e argomentazioni logiche deve essere accettato. Dovrebbe essere approvato perfino il bambino che mi dicesse: maestro, ci sediamo tutti sul tappeto perché mi sa che tante sedie a casa non ci sono e alla festa di AG siamo davvero troppi.
Un problema aperto spinge il bambino oltre i limiti prestabiliti e obbligati, allargando i confini e lasciandolo libero di nuotare nel mare aperto delle tante possibilità. Solo in questo modo potremmo essere sicuri che sappia nuotare e soprattutto che conosca il piacere che si può provare a stare tra i coralli e le gorgonie.
p.s.
L’evocativa illustrazione in copertina è di Davide Bonazzi
Tutto il contrario della nuotata che vogliono obbligare a fare nel mare dei Test Invalsi. Allargare i confini è un concetto spesso considerato socialmente pericoloso.
Proprio così Andreana. Hai centrato la questione.
Per citare ancora una volta le parole di Chris Hedges “Questi test creano uomini e donne che sanno leggere e far di conto quanto basta per occupare posti di lavoro relativi a funzioni e servizi elementari. […] Premiano quelli che rispettano le regole, memorizzano le formule e mostrano deferenza all’autorità. I ribelli, gli artisti, i pensatori indipendenti, gli eccentrici e gli iconoclasti – quelli che pensano con la propria testa – sono estirpati.”
Maestro queste ultime riflessioni, matematiche e non, le ho apprezzate. Sono state un bello stimolo e uno spunto di riflessione. Ma le chiedo. Quando “ogni ragionamento che aggiunge e toglie sedie con coerenza e argomentazioni logiche” non ci sono o sembrano non esserci, riusciremo sempre a trovare, per ognuno (lo sottolineerei. se sapessi farlo dal cellulare. che non é una penna), il perché e soprattutto il modo? Glielo chiedo sinceramente e con tante perplessità. Comunque grazie. Da tanti punti di vista
Gentile Ubudafnr, le sue “tante perplessità” sono più che legittime. La scuola delle competenze, dei test a risposta multipla, delle pretese di valutazioni oggettive, è sempre meno attenta e interessata ai processi dialogici e all’unicità dei suoi studenti. Mira all’allevamento di greggi, non alla crescita di singole teste pensanti.