Osservo i miei bambini di prima elementare giocare in cortile e rimango sorpreso dalla loro assoluta incapacità a organizzarsi in attività strutturate. Escludendo tre bambini che tirano calci a un pallone di spugna, vedo gli altri coinvolti in qualcosa di informe fatto di rincorse, spinte e lotte animate che finiscono rapidamente per sfociare in contrasti selvaggi e litigi. Chiedo a due bambini che gioco stiano facendo. La risposta è la stessa. Boh.
Mi chiedo allora se mi stia capitando di assistere a qualcosa di tragico. Non mi aspetto certo di vedere i bambini giocare a rubabandiera, ma vorrei vederli capaci di divertirsi e organizzarsi in qualcosa che abbia un senso. I bambini, abbandonati a loro stessi, quasi sempre non sanno giocare. Questa è la verità. La libertà rituale della ricreazione in cortile è una concessione che non sembrano essere facilmente capaci di gestire autonomamente. Se succede di vedere i bambini riunirsi intorno a qualcosa di stabilito è sempre in risposta alle precise indicazioni del mercato che li vuole consumatori e li induce all’acquisto di carte Yu-Gi-Oh, Zomlings, LetrAbots, o altre diavolerie che durano il tempo di qualche mese e poi sono sostituite da qualcos’altro. Quella che manca è sempre la forza indipendente dell’improvvisazione.
Mi viene da pensare allora che i bambini di oggi, in questa parte di mondo, spostati da una parte all’altra in mille attività dove c’è sempre un adulto che indica modi e tempi, abituati come sono a camminare sempre e solo su rigide rotaie preordinate, perfino nelle loro occasioni ricreative, paghino il prezzo di perdere per sempre la strada dell’immaginazione. E mi chiedo quanto gli adulti, dietro l’alibi di una costante e doverosa attenzione, stiano invece finendo per preparare questi bambini a divenire uomini e donne ordinati, prevedibili e ubbidienti, perfino fragili, incapaci di sterzare di lato, di inventare, di escogitare, di scoprire soluzioni personali.
Tra bufalo e locomotiva la differenza salta agli occhi, cantava Francesco De Gregori. Calza a pennello.
p.s.
Quello in copertina naturalmente sono io mentre sono assalito da pensieri come questo.
ciao Maestro, come sempre sfondi sempre un uscio aperto. Purtroppo, e lo dico con molto dolore, questi bambini non sanno giocare, non sanno annoiarsi, non hanno creatività.
La nostra generazione era più povera e, non avendo a disposizione né TV né videogiochi nè giocattoli stupidi e costosi dovevamo per forza inventarci qualcosa.
Non voglio fare la nonna nostalgica e certo non si torna mai indietro, oramai tutti questi beni di consumo esistono. Allora? Tu hai un’idea di come stimolarli? Il primo passo sarebbe poterli separare dalle play e dai cellulari, a volte qualcuno lo fa ma i ragazzi vivono nell’attesa della restituzione e si arrangiano con quelli degli amici. Questo mondo virtuale invade i loro pensieri, i miei nipoti hanno crisi vere e proprie di astinenza. Sono, siamo preoccupati, ma non si sa cosa fare. E’ troppo tardi oramai?
nonna Laura
ciao nonnalaura, io non credo che il problema sia la tecnologia. Ai nostri bambini manca il cortile. Mancano spazi all’aria aperta dove incontrarsi e confrontarsi senza l’intercessione e l’intermediazione continua dell’adulto.
non sottovalutarla Maestro! I bambini di Monteverde si vedono in parrocchia, a Regina Pacis, come i bambini di un tempo. Stanno lì da soli (ma forse per i dodicenni l’opera dell’adulto ha già fatto i suoi danni?), ma parlano di e guardano videogiochi. E’ la nuova droga del terzio millennio, e con questa faremo i conti. Un abbraccio per il tuo lavoro costante
Ordinati e aggressivi, come vuole l’educazione alla gerarchia. Tu, Maestro, puoi comunque fare molto. E non credo di sbagliarmi…
Maestro, ma forse la ricerca di un senso per forza nel gioco, è già adulta e già perversa. Giocano. A cosa? Che agli adulti sfugga forse é meno grave e problematico. Se lo è per gli adulti il problema è loro
No Ubudafnr, non sono d’accordo. La ricerca di un senso non è un bisogno da adulti. La regola, anche nel gioco, è una necessità che i bambini avvertono perfino come tranquillizzante, capace di dare un senso compiuto alla libertà che hanno bisogno di esprimere. Credere che una regola limiti la libertà è un errore. Il “vale tutto e il contrario di tutto” destabilizza e confonde, abbandona qualunque soggetto (adulto o bambino) all’indeterminatezza e conduce alla perdita dell’orientamento. I bambini che vedo giocare in cortile, i bambini di cui parlo, non sono bambini tranquilli o contenti. Finiscono immediatamente per esprimere il disagio mostrandosi aggressivi e incapaci di interagire.
Capisco. Mi vengono in mente “i giovani infelici” di cui parlava Pasolini. Ora sono bambini infelici. E non per un avverso destino privato e personale. La mutazione è irreversibile e definitiva?