Le parole che non abbiamo

Ci sono parole che non abbiamo. Che ci mancano. Neanche il vocabolario le contempla. Normale che un tuareg abbia più espressioni per definire la sabbia del deserto nelle sue diverse forme e condizioni. Per noi è sempre sabbia. Noi non viviamo nel deserto. Non possiamo cogliere le sfumature. Però ci sono parole che esprimono emozioni. Quelle dovremmo averle tutte. Invece no. Prendiamo la tristezza, per esempio.

Prendiamo quel dolore che si sente nello stomaco nel momento della perdita. Anche se poi, ad avere il coraggio e l’illuminazione di vedere le cose da una prospettiva diversa, una perdita non lo è mai veramente. Prendiamo quel dolore lì. Ce ne sono tanti tipi diversi di quel dolore. Ma ci mancano le parole. E quelle che usiamo finiscono soltanto per semplificare. Ci dicono che è sabbia, nient’altro.

Cosa ci sia dentro la tristezza di un maestro che ha condotto la sua classe all’ultimo giorno di scuola allora è difficile da raccontare. Anche cosa significhi aver camminato insieme tutto questo tempo, aver iniziato il viaggio quando quei piedini erano piccoli e ancora tanto insicuri.

Le parole ci mancano, è vero, ma per fortuna abbiamo la musica. La musica può aiutarci a capire le cose quando non abbiamo più le parole. Ecco. Basta ascoltare Oltremare di Ludovico Einaudi. E guardare la luna.

p.s.
La copertina è di Gipi

Informazioni su RP McMurphy

Chito e RP McMurphy vivono a Roma, ma qualcuno giura di averli visti più volte dalle parti di Maracaibo. Hanno un amore dichiarato verso tutti i sud del mondo e un’istintiva simpatia per chi vive ai margini.
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5 risposte a Le parole che non abbiamo

  1. nonnalaura ha detto:

    maestro Flavio sicuramente il tuo dolore non è paragonabile al nostro, perchè tu perdi “la quotidianeità” di 30 bambini, noi solo la tua. Però voglio dirti un paio di cose.
    Una è che il tuo imprinting sarà un marchio per i bambini, e sono certa che tanti comportamenti positivi li avrai istillati tu. Di negativi onestamente non me ne viene in mente nessuno, forse sei stato un po’ “scialla” per alcuni capitoli dell’insegnamento e alle medie non verrà capito cosa c’era dietro. Ma i bambini sono pieni di risorse, si adatteranno con disinvoltura ai nuovi insegnanti.
    Poi ti verranno a trovare, non ti verranno a trovare presi dall’egoismo della loro adolescenza, ma puoi essere certo che avrai messo un segno nelle loro vite.
    La seconda è che io continuerò a seguirti sul blog, continuerò a chiederti un caffeuccio a Carini, continuerò a interpellarti per ogni mio dubbio o a condividere con te ogni mia scoperta. Ti voglio bene maestro, i miei capelli bianchi mi danno l’ardire di dichiarartelo senza possibilità di equivoci ❤

  2. RP McMurphy ha detto:

    Grazie a te nonnalaura, grazie del tuo appoggio, della tua partecipazione, della tua simpatia.

  3. Fricchy ha detto:

    Tutto quello che hai dato ai nostri figli in questi cinque anni è talmente prezioso, che ti permetterà di rimanere nelle loro vite per sempre. Quando quei piedini insicuri correranno, inciamperanno, si riposeranno, faticheranno, balleranno di gioia, e duoleranno perché ormai pieni di calli, in tutti i momenti importanti delle loro vite, penseranno a quello che diceva il maestro. Io ne sono sicura. E ne sono felice. Grazie.

  4. andreana ha detto:

    Conosco quel dolore. E le parole che mancano. In 35 anni di insegnamento l’ho provato varie volte. Altri dolori quest’anno mi hanno impedito di condurre la classe fino all’ ultimo giorno. Li ho rivisti ai primi di maggio, cresciuti, abbiamo chiacchierato, ricordato i bei momenti di questi anni e guardando i loro occhi ho capito che non li avevo persi, che i semi gettati 5 anni fa hanno germogliato…chissà che piante diventeranno!

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