Rispondo alla maestra D sulla questione della fila e la ringrazio per aver tirato fuori l’argomento. I miei bambini dentro la scuola non fanno file. Diciamo che, in generale, ho una netta antipatia per l’abitudine di schierarli in parata o allinearli come fossero barattoli di passata di pomodoro nella credenza. La fila per 2 non fa eccezione. Inutile dire che questo fatto genera in alcune colleghe una buona dose di riprovazione.
È vero. Dentro la scuola i miei bambini li vedi scendere a gruppetti discontinui. A un certo punto magari compare il maestro. A volte il maestro li precede. Non c’è una regola. In ballo però non c’è soltanto una personale avversione per tutto ciò che le parate e le sfilate sono capaci di evocarmi. Quello che agli occhi delle maestre contrariate potrebbe sembrare una trascuratezza, una negligenza, una deplorevole indifferenza alle regole, è invece una precisa scelta pedagogica.
I miei bambini sanno che non si può correre per le scale, che non ci si può spingere, che non si possono fare scivolate, sporgersi dal parapetto e mettere in atto qualsiasi altro comportamento che potrebbe essere pericoloso per sé e per gli altri. Il fatto di avere tra noi anche bambini particolarmente fragili aumenta la necessità di attenzione.
Quello che i bambini sono arrivati a comprendere è che la libertà implica sempre autocontrollo. Che l’autonomia è un traguardo che si conquista meritandosi la fiducia.
Il maestro domatore, quello che dice sempre ai bambini cosa devono fare (perfino quando usare la penna rossa e quando girare pagina, quando lavarsi le mani e quando guardare dalla finestra), i bambini li mette in fila per due e muove di sicuro pattuglie ordinate e silenziose, ma non saprà mai cosa i suoi bambini sarebbero in grado di fare senza l’imposizione e l’intimidazione. Forse non se ne cura. Lui li dirige costantemente, e questo gli basta.
Io credo invece che un comportamento corretto conti qualcosa soltanto se non viene costretto, non sia condizionato dalla paura, o miri a un qualche premio. Lasciando al bambino e al ragazzo la possibilità di sbagliare (certamente nei limiti di un raggio d’azione limitato e proporzionato ai suoi mezzi) si saprà davvero a che livello di maturazione è giunto.
Così ho sempre pensato che il mio compito sia quello di responsabilizzare i bambini e farli crescere in indipendenza e consapevolezza. Un giorno voleranno via. Allora li guarderò uscire l’ultima volta dal cancello della nostra scuola e pregherò di aver fatto tutto il possibile perché sappiano essere se stessi, abbiano imparato a orientarsi e a camminare con sempre maggiore sicurezza sulle proprie gambe.
Maestra D, le file dentro la scuola non servono a niente. Proprio a niente. Fuori il discorso è diverso. Quando si sta in giro per la città il gruppo si compatta istintivamente per la naturale percezione degli spazi che si allargano e la coscienza dei pericoli che possono esserci. Ma a scuola ci stai 8 ore al giorno. Praticamente è una dépendance della casa. E non puoi andare in salotto camminando in fila per due.
Mi dici che i motivi per cui a scuola si fanno le file sono essenzialmente due. 1) Per esigenza di ordine. Io invece credo che non ci sia equilibrio più grande di quello che, senza esserci imposto, ci fa camminare tranquilli. Perché è il frutto di un ordine interiore, non di una irrequietezza momentaneamente domata. 2) Per abituare i bambini alle file che dovranno affrontare da adulti. Alla posta, magari, o al supermercato. Ma che sciocchezza. Le file a scuola da bambini le abbiamo fatte tutti. Sono per caso servite a fare di noi una generazione che ha imparato la disciplina, le regole e il rispetto per gli altri? Direi proprio di no. Forse che i furbi, i cacciatori di raccomandazioni e quelli che una fila tendono comunque sempre a scavalcarla, non sono stati a scuola?
La verità, maestra D, è che se le file fatte a scuola da bambini servissero a fare di noi dei cittadini, adesso vivremmo di sicuro in un mondo migliore. Non sarà che il rispetto, la lealtà e il senso civico sono qualità che meritano un approccio meno superficiale e più pedagogico?
meravigliosa l’immagine dei barattoli di pomodoro che accompagna la tua lettera, completa perfettamente il tuo pensiero, che poi è anche il mio… manco a dirlo!
Insisti eroe solitario, ha la gratitudine di molti di noi. Intanto ti copio su fb, tanto mi hai autorizzato tanto tempo fa e i miei “amici” aspettano con ansia i tuoi interventi 🙂
cavolo… gli eroi solitari fanno quasi tutti una brutta fine….
Franco Basaglia nelle sue pagine di Diario Brasiliano, nel 1979, affiancava la scuola al manicomio, al carcere. Condividevano, questi luoghi, il congelamento di un sapere dentro una istituzione totale. Per la scuola la pedagogia era capace di produrre pratiche ortopediche per creature recalcitranti. Se la parola-chiave di un nostro precedente scambio era “paura” ora è “controllo”. Stanno benissimo insieme, soprattutto se si teme di essere contagiati da modelli divergenti, che fanno drizzare i capelli. Grazie, Renata
big chief, i venti di una scuola coraggiosa, creativa, inclusiva, di una scuola che dubitava e sperimentava, sono ormai (come i racconti di Piero e la sua apicoltura a scuola) storie da cena con gli amici. Mi dispiace non esserci stato. A me tocca questa scuola qua. La scuola assertiva, La scuola ortopedica, tornata prepotentemente di moda. Ortopedica è il termine giusto. Nel mio Istituto in più di una classe le maestre hanno disegnato col pennarello dei cerchi intorno ai piedi dei banchi e delle sedie. Vietato spostarsi. Ti rendi conto?
Chapeau!
grazie scriviasole e benvenuta nel blog