Quarant’anni fa in estate capitava di ritrovarsi a giocare nella casa in montagna di Tullio e Francesca. Quella splendida villa, sempre affollata di bambini, aveva una particolarità: del tutto priva di recinzione, era meravigliosamente circondata da prati e boschi senza interruzione di continuità. Ma questo condizionava le nostre attività. L’incapacità di comprendere dove fossero i confini di quella proprietà ci intimoriva al punto che alla fine rimanevamo a giocare sempre intorno all’edificio.
Ciò che percepivamo come un eccesso di libertà potenziale generava inaspettatamente uno strano effetto di immobilizzazione. Quello che ho capito dopo, a distanza di così tanti anni, è che soltanto una staccionata avrebbe potuto restituirci l’irrefrenabile desiderio di correre. Un bambino ha bisogno di recinzioni, di limiti, perché soltanto la certezza di un confine è capace di realizzare la magia di circoscrivere un’area protetta nella quale niente di brutto può capitare.
Più in generale nella vita di un bambino quella recinzione è concretizzata dalle regole. Poche, certe e riconosciute regole hanno il potere di costruirgli attorno un riparo e restituirgli la libertà di cui ha bisogno. Molto più di quanto si potrebbe credere. La regola è una necessità. Talvolta il comportamento irrequieto di un bambino che a livello caratteriale mostra un’esagerata irruenza non è altro che la ricerca proprio di quei confini di cui ha un istintivo bisogno. Fino a dove posso spingermi? Ecco quello che chiede.
Le regole (poche, certe e riconosciute) non limitano mai la libertà. Tutto il contrario. Quando chiamo alla lavagna due bambini e chiedo loro di tracciare una linea retta a loro piacere, il primo assolutamente libero di farla come vuole, il secondo con l’obbligo di farla passare per un punto preciso che gli indico io, e poi chiedo quale dei due bambini sia stato più libero, la classe scopre con meraviglia che entrambi i bambini potevano scegliere una tra infinite rette possibili. Allo stesso modo la mia libertà di illustratore non potrebbe mai essere diminuita da chi mi chiedesse di disegnare, non quello che mi pare, ma esattamente un pirata anziano sulla spiaggia accanto a una palma da cocco. In quanti modi posso farlo? Non riesco a contarli!
La regola però da sola non basta. Il legno della staccionata deve essere piantato con cura. Non può traballare alla prima folata di vento. Così a sancire l’importanza della regola, a sostenerla, deve intervenire talvolta la sanzione. Il giocatore di calcio che prende la palla con le mani viene ammonito (qualsiasi gioco ha regole ferree che devono essere rispettate), allo stesso modo il bambino che trasgredisce la regola va sanzionato. La mancata conferma di una penalità abbandona il bambino in un vuoto normativo che alla lunga genera insicurezza e precarietà. La sanzione dà invece al bambino la certezza che quella regola esiste ed è importante, restituendogli tranquillità. Nello stesso tempo l’adulto che sa sanzionare, e lo fa con giustizia, viene riconosciuto come una figura autorevole in grado di garantire la legittima e indispensabile protezione di cui il bambino ha bisogno.
Le punizioni vanno date. Se misurate e puntuali. E vanno date senza ripensamenti. Tornare indietro sui propri passi, abdicando velocemente al proprio compito di educatori con una liberalità che è solo debolezza e incapacità a mantenere saldi alcuni principi imprescindibili, è un errore pedagogico. I discorsi, le spiegazioni, le occasioni di riflessione, sono momenti necessari e serviranno nel processo di crescita del bambino, ma non possono sostituirsi alla sanzione. Così come non porta a nulla scaricare altrove le proprie responsabilità o cercare l’attenuante di un alibi. Non insegniamo ai nostri bambini l’arte della fuga. Un comportamento sbagliato è sbagliato anche se è indotto da altri, costretto dagli eventi, venuto fuori per emulazione o sfuggito per superficialità. La sanzione giudica l’azione di cui si è comunque responsabili, non il suo perché o percome.
p.s.
Linus è naturalmente frutto della matita di Charles M. Schulz
Grazie Flavio. Anche se ogni genitore sente giusto ciò che scrivi, non è facile creare dei limiti ed essere pronti a farli rispettare, anche a costo di una sanzione. Ma leggerlo, sentirselo dire, raccontarselo a vicenda ci aiuta a sentirci più forti e nel giusto.
Cara Isa, quello che ho imparato sulla mia pelle è che spesso ci vuole più coraggio a dire un No, o a dare una punizione, di quanto ne serva per tollerare o lasciar correre. Lo dico da papà, da maestro e da educatore di ragazzi di strada. Qualche anno fa mia moglie tornò a casa e trovò che piangevo. Avevo dato una punizione a un ragazzo del carcere minorile di Casal del Marmo. Fu un momento difficile, ma tenni duro su quello che mi sembrava un principio imprescindibile che andava difeso, anche a caro prezzo. Un anno dopo quel ragazzo mi ringraziò. Il mio dolore era servito a far crescere un frutto.
Cara Isa, non possiamo smarrire l’orientamento e perdere di vista che il nostro lavoro è sul lungo periodo. Se appartenessimo ancora a una civiltà contadina forse ci verrebbe più spontaneo capire che la fatica di oggi porterà dei risultati domani.
Mi chiedo però come mai adesso i genitori e generalmente gli adulti (bada bene, me compreso) siano così fragili. Ho delle idee, ma qui il discorso si fa troppo lungo…
senza la presunzione di voler insegnare niente a nessuno, perchè oramia i dubbi sono di gran lunga superiori alle certezze, partecipo a questo blog con la mia idea.
Condivido in pieno la tua idea, maestro Flavio, e so quanto sia difficile dire NO. Ma spesso mi trovo a osservare che alcuni educatori ne dicono pochi, altri troppi. Mi pare che mettere pochi paletti sia altrattanto dannosi che metterne troppi perchè ambedue gli atteggiamenti producono lo stesso risultato: i bambini non ci credono. Est modus in rebus…e non l’ho inventato io.
Però devo confessare che il complimento più bello della mia vita (leggi 68 anni!) l’ho avuto dalla mia nipote maggiore che un giorno disse ai cugini più piccoli: Nonna Laura mette pochissimi divieti, ma su quelli state certi che non c’è modo di oltrepassarli! Beh, sono contenta di aver dato questa immagine, spero solo che “quei pochi” fossero giusti! Chissà, su questo Sara (mia nipote) non si è mai espressa. Paura… 😦
bentornata nonnalaura. Credo che tu abbia centrato uno dei punti chiave della questione: “i bambini non ci credono”. Nella seconda parte della mia riflessione proverò ad approfondire…