Il tempo passa. Una riflessione che potrebbe sembrare banale, se non fosse che certi giorni finisco per sentirla davvero come una sentenza inappellabile, come il verdetto di una giuria che non concede assoluzione, una teofania nella quale trovano spazio cose diverse e perfino contrastanti. Dentro ci sono i segni fisici dell’età, gli sprechi, i sogni infranti, gli inganni, i propositi traditi, le cose che avrei voluto, quelle che ho inutilmente aspettato.
Se guardo bene dentro il pentolone del tempo, però, ci posso vedere anche i bambini che poi lasciano spazio a nuovi bambini, i loro occhi che si accendono di entusiasmo ogni volta che sono capace di innescare l’incanto della meraviglia, i sorrisi di mia figlia, le conoscenze e le consapevolezze strappate all’ignoto, le verità a cui la pratica non ha ancora avuto modo di trovare difetti, la difesa del bello.
Il tempo passa. Disperatamente. O forse no. Penso che alla fine ci perda solo chi riempie quel tempo di distrazioni e noncuranze per non pensare alla responsabilità che hanno le proprie mani nello scorrere dei giorni. Chi si volta dall’altra parte per non guardare, non trovando mai il coraggio che serve nel poter fare quella strada una volta sola.
ps
La piana nella foto in copertina mi ricorda l’altipiano di Campo Imperatore, che un giorno ho percorso a piedi. Quel giorno nei prati erano spuntati milioni di crochi e a tratti mi sembrava di essere già morto e camminare in paradiso.
C’è un po’ di malinconia in queste parole… ma perché guardare altrove, rimpiangere il passato, soffrire per cose che non esistono più o non sono mai esistite? Dice un proverbio (credo) giapponese:
Scava sotto i tuoi piedi e troverai una sorgente.
Sì Laura, hai ragione. C’è un bel po’ di malinconia. E smarrimento. Capita. Scaverò sotto i miei piedi. Ho sete.