La dittatura del correre e l’elogio del perdere tempo

vecchio-orologioPer attraversare l’oceano tra l’Europa e l’America nella seconda metà dell’800 due settimane potevano anche non bastare. Del resto un viaggio da Roma a Milano era già un’odissea. Una lettera viaggiava alla velocità di una lumaca, ma la corrispondenza (con l’eccezione del telegrafo) era ancora l’unico modo per comunicare con chi era lontano. Figuriamoci il tempo che serviva se dovevi aspettare una risposta.

John Griffith Chaney nasce appunto a San Francisco il 12 gennaio 1876 e passa l’infanzia tra la strada e diversi riformatori. Anche se in quell’epoca le distanze sono enormi e il tempo per percorrerle infinito, lui  attraverserà l’oceano in lungo e largo. Lo troviamo infatti in Gran Bretagna, nei mari del sud, in Australia, in Corea. Nel corso della sua vita fa lo strillone di giornali, lo spalatore di carbone, il pescatore clandestino di ostriche, il lavandaio, il facchino, il marinaio e cacciatore di foche, l’agente di assicurazioni, il cercatore d’oro nel Klondike, il pugile, il progettista di barche e case, il coltivatore e il corrispondente nella guerra russo-giapponese. John Griffith Chaney è meglio noto con lo pseudonimo di Jack London.

Quello che stupisce è come, in mezzo a tutte quelle sue peripezie (per non parlare del vizio dell’alcol), Jack London abbia comunque trovato il tempo di scrivere 50 romanzi e centinaia di racconti, per poi morire a soli quarant’anni. Dubito che uno scrittore dei nostri tempi possa riuscire a fare tanto.

Questo naturalmente è solo un esempio. La verità è che tantissime persone hanno fatto un sacco di cose nonostante abbiano vissuto in periodi storici nei quali serviva una giornata intera per uscire qualche chilometro fuori città e la vita media non raggiungeva i sessant’anni. E oggi?

Oggi il mondo è più piccolo, le distanze più brevi, i tempi della comunicazione e della produzione più veloci, la vita è più lunga, ma qualcosa non torna. Il tempo risparmiato non determina esistenze maggiormente piene o più intense. Conduciamo invece una vita fatta di corse, incastri e salti mortali. Sentiamo che il tempo ci manca. Ne vorremmo di più. Come mai?

Passare una mattina a chiacchierare con un amico seduti al tavolino di un bar sembra un lusso che non possiamo più permetterci. Se succede è difficile poi non sentirsi in colpa.  Lo stesso vale per una passeggiata fatta per il semplice gusto di camminare senza una meta. Ci serve un motivo. Camminare per il solo piacere di farlo non basta.

La vita che conduciamo ci spinge a ottimizzare, a raggiungere un profitto. Lentamente siamo caduti dentro la buca di un mondo che induce a correre. Che spesso non costringe, ma più sottilmente illude. Anche ottimizzare il tempo è una forma di profitto. Così andiamo smarrendo la gratuità di scelte che ci appaiono improduttive, perché non registrano utili immediatamente spendibili e all’apparenza sembrano perfino comportamenti in perdita.

Presi dall’ansia finisce naturalmente che educhiamo anche i nostri bambini a non perdere tempo. Come se la vita fosse qualcosa da giocarsi sulla pista di atletica dei cento metri e chi arriva prima vince. Consideriamo ormai l’infanzia come un periodo le cui tappe possono e devono essere bruciate in fretta. Non è un caso se da qualche anno si discute sull’opportunità di iniziare la scuola primaria obbligatoriamente a cinque anni.

Ai bambini dovremmo invece insegnare ad andare piano, a fermarsi per osservare, a indugiare per trovare tutte le angolazioni possibili, a gustarsi un panorama, ad ascoltare l’unicità dei propri battiti. Dovremmo educarli alla riflessione e permettere loro di fare i conti con la noia. Prepararli all’ascolto, alla calma, alla pazienza, alla disponibilità.

Invece i nostri figli, piccoli adulti in un mondo senza bambini, ci assomigliano sempre di più. Allora vengo preso da un dubbio. Ma non sarà che la sensazione che sentiamo tutti di non poter perdere tempo, questa costrizione a correre, sia soltanto un espediente studiato per costringerci a non pensare?

Informazioni su RP McMurphy

Chito e RP McMurphy vivono a Roma, ma qualcuno giura di averli visti più volte dalle parti di Maracaibo. Hanno un amore dichiarato verso tutti i sud del mondo e un’istintiva simpatia per chi vive ai margini.
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4 risposte a La dittatura del correre e l’elogio del perdere tempo

  1. polepole ha detto:

    Penso.
    Mi sono trovata tra le mani per caso proprio nei giorni scorsi Il deserto dei tartari, non l’avevo mai letto e non avevo idea dell’argomento di cui parlasse (ignorante! nel senso buono, eh). Poi, proprio in questi giorni in cui più del solito mi fermo a pensare alla lentezza e allo scorrere del tempo, me lo trovo davanti dal dentista. E poi capito qui e tu parli del perder tempo nel modo più costruttivo che ci possa essere: “andare piano, a fermarsi per osservare, a indugiare per trovare tutte le angolazioni possibili, a gustarsi un panorama, ad ascoltare l’unicità dei propri battiti. Dovremmo educarli alla riflessione e permettere loro di fare i conti con la noia. Prepararli all’ascolto, alla calma, alla pazienza, alla disponibilità.”
    Ma allora tutto questo è un segno. E anche polepole, il suo significato, fa parte del gioco.
    Poi c’è anche quel detto che sostiene che Michelangelo, Leonardo da Vinci e via così hanno avuto a disposizione le nostre stesse 24 ore al giorno e ne hanno fatto meraviglie.
    Devo solo mettere insieme tutto questo e poi digerirlo.
    Tutto torna. Grazie.

  2. RP McMurphy ha detto:

    Già come hai iniziato polepole.
    Penso.
    Già questo ha il sapore di una piccola pietra finita dentro l’ingranaggio della dittatura del correre. Che poi non è mica tanto una novità. Basta leggere “Momo” di Michael Ende o “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury.

  3. renata ha detto:

    E’ difficilissimo correre e pensare, mentre chi ben cammina ben pensa, (luogo comune molto saggio…). Lo sa la lumaca, forse, mentre si aggira fra le foglie di lattuga. Allora, servirebbe imparare a sentire il ritmo del corpo, come suggerisci, ritmo guadagnato nel tempo lungo dell’evoluzione. La questione tempo è così complessa, da lasciarci senza argomenti, sul nostro stupore fanno leva gli “ottimizzatori”.

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