Parole e bambini

banksy-park-ingBene e bello saranno anche parole che dovrei tenere in considerazione, se non altro perché sono il contrario di male e brutto, però a me non piacciono lo stesso. Non mi piacciono per tutte le volte che chiedo a un bambino come sono andate le vacanze? Com’era il film? e mi sento rispondere bene, oppure bello, come se quelle fossero risposte, mentre invece sono piuttosto porte che si chiudono.

A rispondere bene, o bello, si fa presto come a buttare un sasso nel mare. Diverso è mettersi lì a costruire qualcosa sulla spiaggia, usando sabbia e pietre con la pazienza e la poesia del fabbricante di viaggi fantastici. Dire bene, o bello, ti sembra magari che possa essere il modo giusto per non deludere, per soddisfare la richiesta di una tua opinione. Invece no. Quello che succede è che ti sei tirato indietro. Hai perso un’occasione, quella di provare a raccontare.

Succede anche ai grandi. E fa lo stesso errore anche il maestro che, per tagliare corto, si limita a descrivere un bambino ai suoi genitori dicendo semplicemente che è bravo. Quel maestro dovrebbe rovesciare sulla cattedra la sua borsa e fare uscire decine e decine di altre parole, colori, profumi, dromedari, pezzi di divisioni e starnuti. Invece, per tirchieria o per fretta, finisce per ridurre tutto a un bravo che non significa niente.

Le parole giuste sono importanti. Una volta per il mio compleanno chiesi a ogni bambino della mia classe di regalarmi due parole. Non parole a caso, dovevano essere un regalo e scelte apposta per me. Bisognava scriverle in un foglietto e incartare tutto per bene. Mi arrivarono parole bellissime che incollai nelle pagine di un quaderno. F mi regalò fortuna e nespole. Ancora rido.

Così ai bambini provo a spiegare che rispondere bene, o bello, non mi aiuta a capire granché. Che esistono altre parole. Che le parole, quando non le usi mai, va a finire che muoiono. E che quando muore una parola è come se si spegnesse una stella. Il rischio è quello di ritrovarsi al buio. Le stelle aiutano i marinai a trovare la strada. Le parole anche.

p.s.
L’opera di street art in copertina è (ancora una volta) di Banksy

Informazioni su RP McMurphy

Chito e RP McMurphy vivono a Roma, ma qualcuno giura di averli visti più volte dalle parti di Maracaibo. Hanno un amore dichiarato verso tutti i sud del mondo e un’istintiva simpatia per chi vive ai margini.
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9 risposte a Parole e bambini

  1. renata ha detto:

    Faccine – emoticon, se preferisci sintonizzarti su quell’inglese molto bistrattato che purtroppo piaceva anche a Tullio DeMauro…- pollici levati o verso: li usiamo tutti, perché abbiamo fretta, perché il mezzo condiziona la lingua, perché – come dici tu – non vogliamo implicarci in risposte che aprano agli altri. Nel secolo della comunicazione, non a caso decantata in modo sospetto in ogni documento del Ministero della ex Pubblica Istruzione, vengono a mancare le parole. Sempre ambivalenti, talvolta francamente ambigue, sulle quali occorre spesso tornare “per spiegare meglio”, per riuscire a piegare il gioco linguistico a qualcosa di più originale, che dica un po’ di più di quel che semplicemente sembra il “significato”. Insomma anche una cancellatura di Bansky che invita lo sguardo a vedere, vedere davvero l’altalena, è “senso”, da condividere perché prenda senso.

    • RP McMurphy ha detto:

      È proprio così, big chief. Viviamo il paradosso di trovarci nel secolo della comunicazione (una comunicazione certamente facilitata dai progressi della tecnologia) e siamo troppo spesso incapaci di dire veramente qualcosa, di raccontare, di descrivere.

  2. nonnalaura ha detto:

    non so quando sarà il tuo compleanno ma voglio regalarti anche io due parole maestro:
    fortuna (quella nostra, però, ad averti incontrato)
    intero (e questa te la devi interpretare da solo!).
    Intanto io continuo a pubblicarti, per la pigrizia di mia figlia ad iscriversi al tuo blog…

  3. nonnalaura ha detto:

    iO NON SONO BUONA, QUESTI I COMMENTI RACCOLTI IN POCHI MINUTI DI PUBBLICAZIONE:

    Stavo per scrivere che è bellissimo, cadendo nello stesso errore. Invece è un pensiero davvero profondo, capace di cogliere una sfumatura sulla quale spesso non ci soffermiamo. Dare la propria opinione, saper raccontare le proprie impressioni, è uno sforzo che vale sempre la pena di compiere. Devo ringraziare questo maestro che oggi mi ha fatto molto riflettere.
    Mi piace · Rispondi · 1 · 5 h
    Valentina Sciascia
    Valentina Sciascia Verissimo.
    Vorrei anche però spezzare una lancia in favore dei bambini che spesso rispondono cosi perché per tutta la loro carriera scolastica (13 anni, se non contiamo anche i 3 di asilo) si sentono chiedere ogni santo giorno dai genitori “Ciao, come …Altro…
    Mi piace · Rispondi · 1 · 4 h · Modificato
    Carla Natali
    Carla Natali Le stesse parole che userei io parlando di poesia: dire che è bella o che mi fa stare bene è troppo spiccio, troppo sbrigativo. E’ come volersi togliere il pensiero di non pensarci un po’ sopra, di assimilarla, magari per decidere che non ti apparterrebbe mai.
    Come sempre il maestro Flavio è fantastico. C’è modo di farglielo sapere??
    Mi piace · Rispondi · 49 min
    Valentina Sciascia
    Valentina Sciascia riferirò io…prendiamo il caffè insieme tutte le mattine 🙂
    Ma ogni tanto glielo dico che i suoi post hanno sempre un sacco di commenti positivi e di ammirazione nei suoi confronti 😉
    Mi piace · Rispondi · 1 · 43 min
    Carla Natali
    Carla Natali Valentina Sciascia Grazie Valentina. E’ davvero un grand’uomo. E non credo di dirlo solo perché non ho avuto esperienze di insegnanti come lui. Dovrebbero esserci persone così in ogni scuola di ogni città (e dovrebbero essere strapagati, almeno le tasse avrebbero – finalmente – un senso).
    Mi piace · Rispondi · 1 · 36

    • RP McMurphy ha detto:

      grazie Carla, come vedi il tuo giudizio è arrivato. Nel grigio che fa generalmente da fondale al mondo della scuola fa piacere ricevere attestati di stima come il tuo. Un abbraccio

  4. Chiara Peri ha detto:

    Mia figlia sa molte meno parole di me alla sua età, mi pare un dato di fatto. Sa probabilmente molte più cose di me alla sua età, ha viaggiato di più, ha fatto più esperienze. Ma sa meno parole soprattutto perché legge molto meno. Farla appassionare davvero alla lettura è più difficile di quanto mi aspettassi. Legge, scrive anche per suo piacere e non per obbligo, ma resta il fatto che i racconti in video, siano essi film o telefilm di valore diverso, sono sempre lì disponibili e la concorrenza è sleale. Almeno non sono videogiochi, mi dico ogni tanto. Ma è pur sempre uno svuotamento. Io leggevo soprattutto perché per molte ore durante il giorno non avevo di meglio da fare. Ora non è così (anche perché quando siamo insieme usciamo molto molto di più di quanto i miei genitori fossero disposti a fare) e ho sempre paura che privarla di qualcosa che le piace per imporle di leggere sia alla lunga controproducente. Lo faccio, se il tempo davanti alla tv o a Netflix si allunga troppo. Ma non so se faccio bene.

    • RP McMurphy ha detto:

      Chiara, hai certamente ragione quando dici che una volta si leggeva di più e che la tele-video concorrenza è sleale. Sono d’accordo con te anche sul fatto che vestire la lettura da merce di scambio e imporne l’abitudine non è una strada capace di condurre lontano. Però la questione mi sembra più articolata e drammatica.

      Non può ridursi tutto alla contesa tra libri e video. O a un problema di tempo. L’impoverimento del nostro lessico non è colpa della televisione. La televisione è solo uno strumento, in passato, è stata capace di portare la lingua italiana in molte aree della penisola, di far entrare nelle case una grammatica sconosciuta ai più, perfino di far conoscere i grandi classici della letteratura.

      Il guaio è che oggi la televisione celebra l’effimero e ha smesso di essere onesta e formativa. Perfino la semplice notizia giornalistica è viziata da interessi di mercato ed è troppo spesso al servizio di una politica frettolosa ed elementare. Il neo liberismo non ha bisogno di persone con un vocabolario ricco. Perché dietro le parole ci sono le idee. La società dei consumi ha necessità di ragionamenti elementari e vuole persone elementari. Non è un caso se la scuola viene piegata alle stesse logiche. Il linguaggio deve impoverirsi anche lì, questo vuole il sistema.

      • Chiara Peri ha detto:

        Sulla strategia della semplificazione non potrei essere più d’accordo. Emma Bonino, che ho avuto la fortuna di incontrare la settimana scorsa, diceva che bisognerebbe proprio cercare di rieducare la gente alla complessità della vita (e aggiungeva che in fondo basterebbe che ciascuno imparasse a guardare la complessità della propria).

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