Qualche giorno fa ho lanciato una sfida ai bambini della mia classe. Li avrei chiamati uno per uno, e dal banco avrebbero dovuto risolvere un’equivalenza scritta sulla lavagna. Se fossero riusciti a risolverle tutte, mi sarei impegnato a esaudire un loro desiderio. Sarei uscito dalla classe, loro avrebbero discusso cosa chiedermi, e al mio rientro la giornata scolastica avrebbe preso la direzione scelta dai bambini.
A patto di non chiedermi di evadere da scuola (quel giorno il tempo non sembrava favorire una nostra fuga nel quartiere) avrei prestato fede al mio impegno, ma, come una perlina dietro l’altra, avrei dovuto prima infilare nella mia collana immaginaria tutti i ventidue risultati esatti delle equivalenze.
I bambini hanno accettato la sfida con entusiasmo e, dopo l’eccitazione iniziale, in classe è piombato un silenzio irreale. A interromperlo soltanto la voce del bambino o della bambina chiamati in causa. Così le perline hanno iniziato a infilarsi nella collana e i bambini hanno cominciato a prendersi sempre più tempo per pensare, a indicare la crescente responsabilità di chi veniva coinvolto nel gioco. Sbagliare l’equivalenza quando già molti avevano superato la prova avrebbe significato vanificare ogni singolo sforzo, determinando la sconfitta dell’intero gruppo.
Poi è arrivato l’errore di G. Non serve essere appassionati di calcio per capire che il suo sguardo a quel punto sembrava quello che aveva Roberto Baggio nella finale dei campionati mondiali del ‘94, subito dopo aver tirato sulla luna il suo rigore e aver buttato la vittoria alle ortiche, regalandola al Brasile. G aveva negli occhi il dispiacere per l’occasione sprecata e la colpevolezza di un condannato. Ma poi è successa una cosa bellissima. Dalle mani dei bambini è venuto fuori un applauso fragoroso e immediato. Come se fosse già una vittoria il solo averci provato, essersi impegnati e aver cercato di portare ogni nuovo punto nella speranza del risultato finale. La classe ha spezzato così la tristezza di G esprimendo un’assoluzione definitiva e spontanea, che ha riportato rapidamente il sorriso sul volti di tutti.
Ogni bambino ha capito bene cosa provasse G. Ognuno aveva sentito o avrebbe provato le stesse emozioni. Il lavoro fatto in questi anni può far sbocciare un fiore inatteso. Altro che riuscire a convertire in centilitri una quantità espressa in litri! Avevamo capito una cosa molto più preziosa. Avevamo vissuto un verso della poetessa polacca Wisława Szymborska. Quel verso che dice Ascolta come mi batte forte il tuo cuore.
Caro Flavio è un po’ che non “ci” aggiorniamo, è maturo un caffè! Questa cosa che hai scritto è dolcissima, come al solito mi fai sorridere e spuntare la lacrimuccia. Non so se G sia il mio G ma il gesto di solidarità e empatia dei compagni sono sicura che sarà un ricordo prezioso, di quelli che si ritirano fuori dopo anni e anni e si raccontano a figli e nipoti!
Ma ora mi è rimasta una curiosità. Tu cosa hai fatto alla fine? I bambini hanno vinto o perso? Tu hai esaudito il loro desiderio? Io sarei stata in forte imbarazzo…
ciao nonnalaura, sì, il caffé è maturo. Che cosa ho fatto? Non ho potuto fare altro che ratificare la sconfitta del gruppo classe. Il gioco aveva le sue regole e il gruppo non ha superato la prova. Cambiare le carte in tavola pedagogicamente sarebbe stato un errore, perché avrebbe confuso la mia piccola comunità che, in altre e future occasioni, avrebbe altrimenti potuto avere la tentazione di comportarsi nello stesso modo, ma solo per arrivare alla vittoria usando una scorciatoia. Un gesto così bello deve essere tenuto separato dal rendimento della prova, per preservarne la grandezza.
Ci sono comportamenti che vanno ben al di là della vittoria o della sconfitta. La coesione dimostrata dai bambini non ha prezzo. Questo naturalmente l’ho sottolineato e apprezzato come meritava.
Sono d’accordissimo con te ed ero sicura che avresti mantenuto le regole. Quando ti dico che sarei stata in forte imbarazzo vuol dire che mi sarebbe costato moltissimo non premiarli, ma l’avrei fatto di sicuro. Poi magari, da nonna, avrei trovato un altro modo laterale per gratificarli, ma questo l’avrai fatto sicuramente anche tu!
Chito, RP McMurphy, Flavio o chiunque ci sia dentro questo tuo corpo, sei il maestro e/o professore che ho sempre voluto avere. Ognuno di noi ha la propria serratura, la bravura sta nel trovare la chiave giusta. Penso che di questi “tuoi” bambini tu abbia trovato tutte le loro chiavi.
benvenuto a bordo Simone, e grazie per le belle parole. In verità ho ancora molta strada da fare e tante serrature da trovare (ancor prima di provare ad aprire) …
allora che il tuo sia un buon cammino…e porta con te un passe-partout.
Mi fate venire in mente che ai miei tempi a chi sbagliava o non riusciva proprio a stare al passo con gli altri, gli facevano indossare a forza le orecchie d’asino per poi farlo girare per tutte le aule.
Ne ricordo uno in particolare, non riusciva proprio ad apprendere pur mettendocela tutta. pensate che veniva puntualmente picchiato anche dal prete, durante l’ora di catechismo. Questo ragazzo poi inevitabilmente crebbe e divenne un pregiudicato per poi morire di stenti e di droga.
benvenuto Tito! Beh, diciamo che la pedagogia qualche passo in avanti l’ha fatto. La scuola che rammenti tu è (quasi sempre) un lontano ricordo. Rabbrividisco al tuo racconto. Sovente dietro un bambino che non apprende c’è un maestro distratto o inadeguato. Contesto anche l’idea che tutti i bambini debbano giungere allo stesso livello di apprendimento, come si credeva un tempo e come si continua a credere ancora oggi sottoponendo i bambini a test standardizzati, come fossero pistoni identici di un meccanismo a motore. Basterebbe che ognuno di loro raggiungesse il massimo delle proprie capacità.
Bella esperienza
sulla solidarietà come fatto non solo emotivo ma anche cognitivo. Si impara insieme e l’errore, che in questo caso è una sorta di rigore sbagliato quando la partita sembra già vinta, è fondamentale. Non capisco nulla di calcio, pur essendo stata la figlia di un arbitro professionista e – spesso – compagna di tifosi, ma credo che un buon coach, un allenatore didatta, un Maestro ci lavori sugli errori, li consideri preziose occasioni per capire, non solo cosa non ha funzionato, ma le potenzialità che quell’altro modo- errato- di risolvere il problema solleva, su come la situazione da risolvere “ci è venuta incontro” e come noi abbiamo risposto alla sollecitazione. Così si esprimeva Francisco Varela (il grande biologo e filosofo cileno). Chissà, l’applauso della classe non era solo inclusivo rispetto a G, non solo emendava l’errore assumendolo, era catartico, scioglieva ogni tentativo di competizione, anche di squadra, mostrava preferenza per l’aspetto ludico della tua proposta. Senza dubbio incoraggiava anche te a tener fede al patto stipulato, perché così funziona una comunità che gioca.Grazie. Renata
parole sante Big Chief. La giornata scolastica ha bisogno dell’errore quanto le orchidee di umidità. L’errore è occasione di crescita personale e di gruppo, di esercizio creativo, di sviluppo cognitivo. Una didattica che liberi il campo dall’equivoco di ritenere l’errore una vergogna da nascondere e far sparire il prima possibile, e, al contrario, faccia dell’errore il perno attorno al quale ruotano le proprie attività, è certamente una buona didattica.
Ciao Flavio,
scopro spesso i tuoi post da nonnalaura…una delle tue più grandi fan 🙂
Questo in particolare mi ha toccato molto. Ho chiesto anche al mio G. se fosse stato lui a sbagliare…quasi ci speravo, cosi, per far vivere a lui la partecipazione dei compagni di classe e fargli sentire l’empatia del gruppo…ma mi ha detto che non era lui. Ba beh, poco male.
Mi sono permessa di condividere il tuo post e come risposta, oltre ai soliti “tutti dovrebbero avere un maestro cosi” o “Il tuo G. è proprio fortunato”, ho avuto tanti commenti di persone che, leggendolo, si sono proprio commosse.
Quando ho chiesto il motivo della commozione, mi è stato risposto che erano stati toccati molto nel vedere oggi dei bambini cosi sensibili verso gli altri. Non so se mi sono sentita contenta o triste per questa risposta. Stupirsi se oggi i bambini mostrano sensibilità verso il prossimo…c’è da riflettere!
Baci
Ciao Valentina, i bambini non sono né migliori, né peggiori di noi. Ma hanno il vantaggio di poter essere guidati verso una giusta direzione. Saremo capaci di farlo? Hai ragione a rattristarti. Il mondo degli adulti è così pieno di egoismo….