La logica del piffero. Ovvero la scuola spiegata al mio barista (parte prima)

pifferoL’argomento scuola, soprattutto in riferimento ai cambiamenti che vorrebbe produrre Renzi, è ormai una questione di piazza. Ovunque se ne parla e chiunque dice la sua, talvolta a sproposito e senza nessuna cognizione di causa. Perfino personaggi pubblici completamente a digiuno di pedagogia vengono tirati in ballo e producono imbarazzanti panegirici sulla scuola. La lotta mediatica ha spostato i termini della disputa dalle idee agli slogan, che sono sempre un pericoloso surrogato.

Una delle cose che si sente dire spesso è che i docenti italiani non vogliono essere valutati. Che non accettano il programma della Buona Scuola di Renzi perché sfuggono ogni logica che si basi sull’idea del merito e proponga un esame e un giudizio sul loro lavoro. La classe dei docenti è una casta che punta all’immobilismo, si dice. Che insegue l’immunità, che rifiuta di mettersi in gioco, che, piuttosto di salire sul banco degli imputati, vuole per sé il sei politico (espressione utilizzata a più riprese da Renzi).

È falso. Ma questa logica del piffero facilmente fa breccia nell’immaginario collettivo. Perfino il barista sotto casa ieri mattina con lo sguardo furbetto di chi ha capito tutto mi dice: protestate perché non volete che il preside possa giudicarvi, eh? 

Caro barista siediti che provo a spiegarti, avrei voluto dirgli. Ma la fretta, la mia e la sua, ha reso impossibile ogni chiarimento. Io alle prese con la consueta performance mattutina di gara contro il tempo del tipo: comprareillatte-prepararelacolazione-partireinmacchina-arrivareascuola-cercareparcheggio. Lui con l’urgenza di fronteggiare e respingere al di là del bancone un’agguerrita armata colazionante.

Però quella sentenza pronunciata tra un caffè macchiato e un cornetto integrale mi è rimasta appiccicata addosso per tutta la mattina. Davvero la gente può credere una cosa del genere? Temo proprio di sì. L’abilità renziana, ma direi della politica in generale, di procedere per spot elettorali e sostituire ragionamenti articolati con pensieri semplificati e concetti rudimentali funziona quasi sempre. Ci sono stati tolti il tempo per riflettere, l’abitudine a ragionare, la possibilità di capire, l’idea che le questioni siano interconnesse e non possano avere importanza solo per una porzione ristretta della comunità. Ci viene impedita la possibilità di un coinvolgimento reale. Del resto che cosa ne so io delle agitazioni che hanno  recentemente interessato l’Alitalia? Niente. Appunto.

Però io dentro la scuola ci vivo. E questa cosa la so. È falso che i docenti non vogliano essere valutati. Nessuna azione umana può evitare una valutazione. È evidente. I docenti lavorano in un impianto che fa proprio della valutazione uno dei suoi momenti fondanti. Sono chiamati alla valutazione dei loro studenti e certo non possono sottrarsi loro stessi all’esame e al giudizio. Non c’è una sola scuola in Italia, di qualsiasi ordine o grado, dove non si sappia già chi sono i docenti migliori e chi invece vivacchia e tira a campare. Lo sanno i ragazzi, lo sanno i genitori, lo sanno i colleghi.

Il discorso si fa delicato in un progetto che miri a premiare i migliori e crei delle fasce di retribuzione proporzionate al valore e alle energie messe in campo. Tutto ottimo. In un sistema di questo tipo i dormienti sarebbero stimolati a fare di più e a fare meglio, mentre coloro che si consumano ogni giorno senza misura forse non si spegnerebbero lentamente stritolati dal grigiore del sistema e manterrebbero viva la fiamma della propria passione.

È falso che i docenti accettano una differenziazione interna basata esclusivamente sull’anzianità di servizio. Questa distinzione non esiste più e nessuno avanza per scatti di anzianità da almeno dieci anni a questa parte.

Valutateci pure. Misurateci. Sarebbe ora. Ma abbiate il coraggio di non scegliere scorciatoie. Che le scorciatoie, come insegniamo ai nostri ragazzi, non portano lontano e finiscono tutte in vicoli ciechi. Non potete farlo lasciando ai Presidi il potere di decidere e neanche ai Presidi aiutati da quattro pretoriani genuflessi con l’illusione di aver formato un nucleo di valutazione finalmente efficace.

E soprattutto non crediate possibile tracciare una riga tra i buoni e i cattivi semplicemente sulla base dei risultati ottenuti dal docente in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni. Perché il problema è chiarire prima di tutto e una volta per sempre quali siano queste benedette competenze. L’intoppo è proprio qui. Bisognerebbe stabilire prima se il compito della scuola è quello di formare la persona e il cittadino di domani o se debba preoccuparsi più di costruire un abile calcolatore, un traduttore o un conoscitore di date e grammatiche. Perché sembra essere purtroppo questa la deriva che sta prendendo la scuola italiana. Sono queste le competenze di cui parlate. Sono queste le competenze che andate misurando con la politica dei test e delle crocette.

Io direi, lasciate stare le equivalenze e le operazioni con la virgola. Sorvolate pure su quanto siano bravi i miei bambini a calcolare le aree dei rettangoli o a leggere una cartina geografica. Ma toglietemi un pezzo di stipendio ogni volta che uno di loro, uscito dalla scuola elementare, dovesse discriminare un compagno per il colore della sua pelle o la sua religione. Toglietemi un pezzo di stipendio se dovesse buttare per strada una lattina dopo averla bevuta e non avesse alcun riguardo del bene comune, se facesse il furbo e passasse avanti a qualcuno in una fila o lo lasciasse steso sull’asfalto come se non esistesse. Toglietemi un pezzo di stipendio per ogni atto di disonestà e per ogni mancato esercizio di accoglienza.

Perché un ragazzo che uscisse dal percorso scolastico con voti eccellenti in quelle che voi chiamate competenze (che io definirei piuttosto tecniche), ma non si sentisse parte di un tutto, vivesse con egoismo e superficialità, fosse perfino razzista e percepisse la diversità non come una ricchezza, non si facesse carico delle proprie responsabilità e puntasse il dito verso le colpe degli altri senza mai ammettere le proprie, sarebbe un vero insuccesso per la scuola. Un fallimento imperdonabile.

Prima di classificare i docenti e impilarli negli scaffali del merito bisognerebbe allora avere l’onestà di ammettere che il compito primario della scuola dovrebbe essere quello formativo nel suo significato più profondo. Non sembra invece che la costruzione e la strutturazione delle coscienze, il senso critico e quello civico siano obiettivi di questo governo. Ecco perché i docenti non ci stanno. Perché difendono il loro compito educativo. Perché, nel migliore dei casi, finirebbero per essere registrati esclusivamente sulla base dei risultati di test che misurano capacità necessarie, ma secondarie. Perché sarebbero indotti a condizionare ogni didattica in funzione dei risultati da ottenere.

Questo avrei voluto dire al barista sottocasa. La cosa è assai più articolata di quello che sembra avrei cercato di spiegare. Che poi anche la stessa questione del merito sarebbe un falso problema se, come succede in Finlandia (lo Stato con il miglior sistema scolastico a detta di tutti gli studi e le valutazioni OCSE) anche da noi ci si preoccupasse seriamente più della formazione e selezione della classe docente che della sua misurazione.

Poi, ammesso che il barista avesse avuto ancora voglia di ascoltare e non fosse scappato via con la scusa di una spremuta al mandarino, un’altra cosa avrei voluto dirgli. In fondo in fondo, gli avrei detto, mi sa che concentrare tutta l’attenzione mediatica sulla questione del merito è davvero una furbata, perché finisce per distogliere da tanti altri elementi deleteri della riforma verso i quali i docenti hanno espresso un netto rifiuto. Come, tanto per citarne soltanto uno, l’invito alle sponsorizzazioni private nella scuola pubblica, che se ci pensi, è raccapricciante oltre che pericoloso. Le scuole nelle zone ricche riceverebbero fondi, quelle nei territori più disagiati invece no. E poi. Avrebbe la forza una scuola di non servire a mensa Big Mac e CocaCola se ricevesse 40.000 euro all’anno da McDonald’s? Riuscirebbe a mantenersi obiettiva e senza pregiudizi se la sovvenzione arrivasse da qualcuno che ha interesse a rileggere la storia? Sarebbe libera di bocciare Briscolo Perciballi se suo padre avesse contribuito a rifare la palestra e a rimettere in piedi la biblioteca della scuola?

p.s.
In copertina Ernesto Sala, ultimo grande interprete contadino e virtuoso del piffero con Dante Tagliani alla fisarmonica, in una foto di Ferdinando Scianna.

Informazioni su RP McMurphy

Chito e RP McMurphy vivono a Roma, ma qualcuno giura di averli visti più volte dalle parti di Maracaibo. Hanno un amore dichiarato verso tutti i sud del mondo e un’istintiva simpatia per chi vive ai margini.
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12 risposte a La logica del piffero. Ovvero la scuola spiegata al mio barista (parte prima)

  1. nonnalaura ha detto:

    Caro Maestro, tanto sono semmpre d’accordo con te che ti pubblico regolarmente su FB per condividere più possibile le tue osservazioni. Lo so, FB è un mezzo molto discutibile, che cade proprio nella cultura degli slogan, delle frasi a effetto, dei piccoli flash che non suscitano un ragionamento più lungo di 10 secondi. Però è un mezzo divulgativo, ci sono dentro tante persone intelligenti e sensibili che sono in grado di recepire, scambiare, ragionare (almeno tra i miei “amici”).
    Detto questo, come forse altre volte ti avrò raccontato, l’insegnante migliore che abbia mai avuto, quello che ha segnato la mia vita, quello che mi ha insegnato a vivere, a capire arte e cultura, è stao un prof di Italiano del Liceo. Se avesse avuto delle schede di valutazione dagli alunni ne sarebbe uscito con 100 su 100. Ma…era “tollerato” da preside e colleghi, perchè l’italiano (quello con le date, le correnti, i periodi) noi allievi non lo conoscevamo, ma sapevamo riconoscere, solo leggendola, un’ode bellissima da uno scrittura/chiavica! Ancora oggi ho difficoltà a collocare storicamente i crepuscolari, ma stai sicuro che se leggo una pagina di Guido Gozzano non resto indifferente.
    Anche lui era molto alternativo, come te. Certo non girava con i capelli lunghi, nè con la gonna…, ma scandalizzava l’epoca del suo tempo, e noi eravamo felici con lui.
    La formazione degli insegnanti. Batti su un punto sul quale mi sgolo da decenni. Una laurea non può insegnarti a insegnare. Materie come Empatia, Sensibilità, Ascolto, Umiltà, Larghezza di vedute, Pazienza, non si imparano sui libri, anzi non vengono proprio proposte. La “valutazione” di cui parli sicuramente non terrebbe conto di questo piccolo contorno! (a proposito, ho letto che la moglie di Renzi ha avuto scarabocchi sulle schede degli invalsi dei suoi alunni, ahahaha).
    Però, caro Maestro, manca anche la collaborazione tra insegnanti e genitori, ma nel senso dello scambio, della comunicazione. E per comunicazione non intendo lamentarsi della mensa, o troppi compiti, o pochi compiti, religione si, religione no, divisa scolastica, mio figlio ancora non sa mettere le doppie, il compagno di banco gli da i pizzicotti! La collaborazione io la intendo come il progetto comune a far crescere al meglio i ragazzi. Perchè, caro Maestro, se tu insegni a buttare la lattina nel cestino, ma poi il bambino della tua classe vede il padre buttarla dal finistrino della macchina, è probabile che le numerose decurtazioni dal tuo stipendio ti ridurrebbero alla fame.
    Eccetera, eccetera, eccetera.
    L’ho fatta troppo lunga, perdono, ma mi sono sentita come il tuo barista, e volevo chiacchierare con te. Grazie, nonnalaura

    • RP McMurphy ha detto:

      Non l’hai fatta lunga nonnalaura. Chiacchierare con te mi conforta e aiuta a non sentire il vuoto pneumatico che altre volte avverto intorno al mondo della scuola. Invidio il tuo prof di Liceo. Lo invidio perché ha abitato le aule in tempi migliori di questo. Mala tempora nonnalaura, e saranno guai per le generazioni future.

      • nonnalaura ha detto:

        lo so, Grande Maestro, appartengo a una generazione fortunata e sono molto, molto, moltissimo preoccupata per i miei nipoti. La mia speranza è che persone come te si moltiplichino per mille, e che possano fare un nuovo ’68.
        Giovedì mi vado a sentire all’Auditorum Erri De Luca, di ritorno dal suo processo anti/Tav, che canta (è stonatissimmo…!!!) Ikmet, che lui ha messo in musica. Capisciammè, sono felice!

  2. virginialess ha detto:

    La “buona scuola” di Renzi non mi sembra tale per varie ragioni, inclusi i metodi di valutazione, e in primis perché non pone al centro la formazione, intesa nel senso che l’articolo evidenzia.
    Mi consento però di dissentire sulla volontà generalizzata dei docenti a “sottoporsi” a valutazioni comunque concepite. In tre decenni e passa di insegnamento ho sperimentato semmai il contrario. E il criterio qui adombrato non mi sembra il massimo del raziocinio… (“Non c’è una sola scuola in Italia (…) dove non si sappia già chi sono i docenti migliori e chi invece vivacchia e tira a campare. Lo sanno i ragazzi, lo sanno i genitori, lo sanno i colleghi.) Volendo formalizzare la bravura di alcuni e la mediocrità di altri, le tre categorie citate si riuniranno per giudicare il prof.? Finora si è lasciato perdere e chi lavora male non ne rende alcun conto.
    Le competenze non sono meramente “tecniche” (a meno che non ci si riferisca, che so, alla pratica del tornio et similia); se acquisite grazie all’opera di docenti preparati e intelligenti, rappresentano lo “scheletro” dell’auspicata formazione. Uno studente con una buona preparazione storica, umanistica e scientifica e però razzista, ottuso ecc. non l’ho sperimentato. Al caso, sarebbe un ossimoro ambulante.
    Credo dunque che le competenze di docenti e studenti vadano valutate.”Anche” (non solo) con i metodi cosiddetti oggettivi e non certo per punire i primi se i secondi ottengono risultati scadenti.
    Ci sarebbe poi molto da dire su preside, formazione, aggiornamento… Chiudo qui.

  3. lezzy ha detto:

    …oups, chiedo scusa, ho sbagliato post; il mio commento era per “Crescere” .
    Entonces Murphy, todo bien a Maracaibo ? 😛 Mira, te iva a escribir pero me pasò la onda, perdon; causa los eventos que me pasaron.. pero, pronto ja te mando un correo “feliz”
    Un abrazo y portate bien

  4. RP McMurphy ha detto:

    no te disculpe hombre disfrazado. Espero que ahora todo estare bien.

  5. andrea ha detto:

    L’ha ribloggato su articolo 33.

  6. polepole ha detto:

    Ho un problema con la scuola di mia figlia e vengo a cercare conforto tra queste pagine. E trovo ovunque cose vere e giuste, e continuo a leggere e a esclamare “è vero!”, “ha ragione, è proprio così!”, e sono dalla parte dei docenti che vogliono davvero insegnare, che vogliono trasmettere il loro sapere – non solo dal punto di vista delle conoscenze ma soprattutto da quello dell’educazione in tutti i suoi aspetti -, poi mi osservo da fuori e penso che le regole che hanno/abbiamo accettato siano davvero ingiuste e che sia inaccettabile il non poter trovare una soluzione, che sia giusta per tutti.
    Io e mia figlia adoravamo la nostra maestra, sebbene come tutti quanti fosse umana e non dotata di superpoteri, perché era capace di ascoltare e di far discutere i bambini, perché sapeva quali fossero le vere competenze che un bambino dovrebbe imparare a scuola.
    Ora lei ha fatto le sue scelte, come è giusto che sia, perché fuori dalla scuola c’è anche una Vita per tutti noi, e noi ci troviamo impelagati in un valzer di supplenze impossibili. Che correggono fischi per fiaschi, che non hanno idea di cosa voglia dire ‘insegnare’, che sono soggette al fuoco incrociato di genitori che dovrebbero fare i genitori e invece troppo spesso sconfinano.
    Ho capito fin dall’inizio che il mondo scuola di oggi non sarebbe stato quello di cui mi ricordavo, che la mia amata maestra unica (che era mamma prima che maestra) i miei figli l’avrebbero avuta solo se molto ma molto fortunati. E ho avuto tutta la comprensione possibile nell’ascoltare le burocrazie della graduatoria a cui far riferimento, nel capire in che situazione drammatica sono costretti a muoversi gli insegnanti oggi, nel prendere atto che la dirigenza ha le mani legate e non può far altro che seguire le regole.

    Ora chiedo a voi, che siete insegnanti e conoscete meglio di me questo ambiente: cosa posso fare materialmente per dare a mia figlia e ai suoi compagni la possibilità di crescere accompagnati da un bel ricordo di questo periodo? Cosa posso fare materialmente per permettere loro di avere (come è loro diritto) un insegnante solo che li accompagni fino alla fine dell’anno in corso? Uno solo, non uno alla settimana o uno al mese, non uno che nemmeno si presenta quando entra in classe o che non sa cosa sia l’empatia. Uno, che sia capace di sostituirsi nel loro cuore alla loro cara maestra, prima di tutto.
    Sono disposta anche a sorvolare sulle sviste e sugli orrori di ortografia (dovrei farlo? non dovrei?), ma pretendo, prima di tutto, questo: un essere umano che prima che del dubbio sulle valutazioni – e ne ha tutto il diritto di avere dei dubbi su come poi vengano fatte, queste valutazioni! – abbia a cuore la salute dei bambini.
    Cosa, davvero, posso fare, oltre che avere piena fiducia e mettermi a disposizione della scuola e degli insegnanti?
    (sì, son stata lunga, perdonatemi)
    Silvia

    • RP McMurphy ha detto:

      Cara Sivia, che dire? La scuola italiana va ormai effettivamente alla deriva e i tuoi interrogativi rischiano di non avere una risposta…. La colpa è di tutti, equamente distribuita tra docenti distratti e timorosi e dirigenti conniventi. Toccherebbe a noi difenderla. Se invece di spendere tempo ed energie nella valutazione degli insegnanti ci si fosse preoccupati seriamente della loro formazione, forse non saremmo a questo punto. Il guaio è che una scuola di teste pensanti, capace di produrre teste pensanti, è una scuola scomoda. I poteri economici che oggi la governano hanno bisogno di greggi. Le famiglie oggi possono affidarsi alle istituzioni scolastiche con la serenità di un tempo? Io dico di no. Ma il discorso è troppo complesso per poter essere esaurito qui. Vigila, Silvia. E accompagna tua figlia nella sua crescita.

      • polepole ha detto:

        Grazie, McMurphy, lo farò. Hai ragione: le teste pensanti sono pericolose.
        Io, più che cercare le colpe, sto cercando la soluzione, che non può essere la fuga, perché la stessa situazione posso trovarla in ogni scuola d’Italia, purtroppo, alle elementari come alle medie e oltre. I ricordi dell’università e delle sue contraddizioni non sono così lontani. Vigilerò, e spiegherò a mia figlia che può trarre insegnamento anche da una situazione catastrofica, che può sempre cercare il pelo nell’uovo e darsi da fare, perché le mattinate passate in balia del supplente di turno non siano completamente perse.
        Però continuo a sperare che un cambiamento sia possibile e confido in quei pochi elementi che come voi, qui, hanno scelto di fare usando la coscienza.

  7. Pingback: La scuola che si vende al miglior offerente | gli opliti di Aristotele

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