Il collegio docenti è in festa. Le iscrizioni per l’anno prossimo hanno raggiunto cifre ragguardevoli. Gli spettri dell’accorpamento a un altro Istituto e il trasferimento dei docenti per la mancata formazione di un numero congruo di prime classi sono allontanati. Almeno per un anno. La preside elogia il lavoro svolto dal team schierato dalla scuola in occasione delle giornate di apertura alle famiglie. L’open day è stato un successo. Segue un elenco di numeri e di scuole rivali battute e derise. Scatta un applauso liberatorio.
Nel tripudio generale il professor T resta muto. Il professor T insegna greco. La sua posizione è quella di chi rovescia sempre le medaglie. Sarà colpa dello studio dei classici. O magari del fatto che in gioventù non ha mai partecipato volentieri alle feste caciarone o agli appuntamenti dove si canta vittoria.
Il professor T è felice che tante famiglie abbiano scelto per i loro figli il liceo classico, non potrebbe essere altrimenti, però la competizione tra le scuole lo intristisce. E sa anche, per mero calcolo statistico, che un numero così elevato di iscrizioni si porterà dietro il solito problema delle bocciature. E, davanti all’evidente incompatibilità con un studio inadatto alle proprie inclinazioni, molti futuri studenti andranno reindirizzati verso altri istituti.
Poi succede. La professoressa D alza la mano. La professoressa D insegna storia dell’Arte. I nuovi programmi hanno trasformato il suo insegnamento in una materia opzionale. Significa che nel primo biennio di ogni liceo classico si può insegnare storia dell’Arte ai soli ragazzi che ne facciano espressa richiesta. Il fatto che viviamo nella parte del mondo con il maggior numero di beni storico-aritistici non comporta evidentemente il dovere di studiarli e comprenderli.
La professoressa D spara a zero contro i docenti che rifilano voti bassi e hanno l’ardire di favorire le bocciature. Così gli studenti si scoraggiano e facilmente cambiano scuola. In questo modo si vanificano miseramente tutti gli sforzi fatti per far crescere il numero di iscrizioni. Dice proprio questa parola: miseramente.
Il professor T si sente chiamato in causa. Ha fama di professore severo. Di professore che non ha mai regalato un voto. Poco importa se gli alunni lo amano perché riconoscono in lui doti non comuni di giustizia ed equità e lo stimano come docente e, prima di tutto, come uomo. Poco importa se tutti i suoi alunni conservano di lui il ricordo di un insegnante capace di accendere entusiasmi e regalare insegnamenti di vita. Poco importa se, tra i vecchi studenti, siano proprio quelli che più hanno faticato a conservare eterna gratitudine per il loro professore. Lui è quello che non regala i voti. Che è capace di bocciare. E questo basta per fare di lui un nemico della scuola.
Così la professoressa D alza la mano, lancia i suoi strali e pontifica sul bene dei ragazzi e sulle virtù della scuola. Molte teste annuiscono. Non quella del professor T. È proprio lui che al termine di quella giaculatoria prende la parola e lapidario come un’epigafe latina esprime il suo parere.
Bisognerebbe avere il coraggio, dice il professore, di dichiarare che la propria proccupazione è prima di tutto per se stessi. Che le storie sui ragazzi sono soltanto la facciata ridipinta di un palazzo vecchio. Se mancano studenti la cattedra di storia dell’Arte è in pericolo. È inconcepibile. Ma questa è la situazione a cui siamo arrivati oggi, non opponendo mai un rifiuto alla politica dei tagli nella scuola. Dovremmo promuovere un ragazzo, anche se non lo merita, per aggirare questo pericolo? Ma che insegnanti saremmo se regalassimo i voti e promuovessimo tutti indistintamente? Faremmo un torto a chi con fatica raggiunge i suoi traguardi. Lasceremmo passare l’insegnamento che non esistono sacrifici, difficoltà, insuccessi. La vita, quella che aspetta i nostri alunni fuori la scuola, è davvero così?
Bisognerebbe avere il coraggio di lottare per vivere la certezza del proprio ruolo e non cercare un modo per sopravvivere tra le pieghe di una storia sbagliata. L’insegnamento della storia dell’Arte, perfino in un percorso di studi classici, è divenuto trascurabile. Ma la professoressa D ha mai urlato il suo dissenso, ha mai cercato la via di una protesta che potesse trovare consensi, ha mai esposto se stessa in una contestazione che vivesse la speranza di cambiare le cose? Però poi punta il dito altrove e cerca una scorciatoia. Guarda caso proprio quel genere di strategia che dovremmo scoraggiare nei nostri studenti.
La professoressa D resta muta. Ha alzato la mano. Ma avrebbe dovuto tenerla in tasca, come sempre.
p.s.
La copertina è di Altan.