Oggi ho preso Maira e una sua compagna di classe all’uscita di scuola. Abbiamo accompagnato prima l’amica, che non abita lontano da Macondo, e poi siamo arrivati a casa. Il viaggio in macchina è durato una ventina di minuti e nel tragitto Maira e l’amica non si sono dette una parola. Entrambe avevano lo sguardo basso sui rispettivi cellulari, finalmente accesi dopo la chiusura forzata per tutto il tempo passato in classe.
Cavolo, ho pensato. Il mondo, quello vero, è fuori, intorno a noi, non dentro quel telefonino. Che fine fanno gli alberi, le strade, i terrazzi e i balconi, le persone che attraversano la strada e quelle nelle macchine che ci affiancano? Che fine fanno le parole? E che fine farà una generazione che cresce con gli occhi dentro una realtà artefatta, perdendosi intanto tutto il resto?
Gli occhi bassi chiudono i confini. Non osano, non scoprono, non scarcerano idee.
Così, mentre guidavo sono stato assalito da pensieri inquietanti. Che uomini e donne cammineranno nel mondo di domani? La consuetudine a tenere sempre basso lo sguardo e a rifugiarsi nella realtà artificiale contribuirà a produrre cittadini sempre più disattenti, incapaci di dissentire, di mettere in discussione e confutare le verità del pensiero unico? Quanto sarà più facile rispetto al passato utilizzare tecniche di controllo delle masse fino a condurre significative semplificazioni e disincentivare il pensiero critico?
Quanto sono belli invece gli occhi quando alzano lo sguardo e si fanno sfrontati puntando lontano.