Sarei stato contento se mia figlia avesse scelto di fare atletica. Avrebbe praticato un’attività all’aria aperta vivendo il sole e la pioggia senza guardarli solo da una finestra, avrebbe avuto occasione di fare nuove amicizie, imparato a sentire e conoscere il proprio corpo, abbandonato le sedie e il divano, avrebbe sperimentato che non basta chiedere per ottenere, ma che qualsiasi traguardo o qualsiasi miglioramento hanno nascosto dentro il segreto di una fatica.
Una riflessione a parte meriterebbe di essere fatta su come troppe volte gli insegnanti e gli istruttori fanno l’errore di avvicinare i bambini e i ragazzi verso attività e nuove competenze senza preoccuparsi di innescare e accendere una fiamma, senza curarsi dell’aggancio emotivo e dell’opportunità ludica. Troppo spesso gli insegnanti e gli istruttori non contagiano la bellezza insita in ogni conoscenza e in ogni processo di scoperta. Si tratti dello studio della storia, della geografia, della matematica, del latino, o del salto in lungo, non fa nessuna differenza.
Così oggi siamo stati nel meraviglioso stadio di Caracalla, circondati dai pini e dal silenzio che c’è quando la città te la lasci lontana. Sarei stato contento se mia figlia avesse scelto di fare atletica. Invece no.
Atletica: il mio primo amore, la mia grande passione ancora oggi, anche se non corro più e non c’è chi possa fare la lepre.