Avrei potuto mettere in copertina una di quelle foto che ti raccontano la guerra e che ti fanno stringere lo stomaco. In questi giorni avrei avuto solo l’imbarazzo della scelta. Invece no. Perché ho pensato che per provare orrore e nausea sarebbero dovute bastare parole come guerra, massacri, distruzione. Espressioni orribili che descrivono cosa il genere umano sia capace di compiere, indifferente, feroce, sordo, dietro un pretesto che cambia ogni volta.
Avrei potuto scrivere qualcosa sull’inutilità di concetti universali come quello della memoria, se poi a genocidi passati seguono sempre nuovi genocidi, sulla colpevolezza diffusa del silenzio, come se certi dolori debbano essere raccontati e ricordati mentre altri no, quasi che il dolore sia proprietà esclusiva solo di alcuni popoli mentre per tutti gli altri si possa soprassedere.
Avrei potuto scrivere qualcosa su come soltanto la guerra, incubatrice di odio, sia capace di generare nuova guerra. Invece no. Pubblico un rettangolo nero. E le parole le faccio finire qui, che questa volta non servono. Tanto è lo schifo, la rabbia e la vergogna che provo come maestro, come padre, e come uomo.

