Quello che la scuola non dice

non-parlareÈ gennaio, si avvicina la fine del primo quadrimestre. La scuola, nella stragrande maggioranza degli Istituti di vario ordine e grado che non abbiano scelto la suddivisione temporale in trimestri, provvede alla preparazione e poi alla consegna dei documenti di valutazione. In momenti come questo ci si trova davanti tutta l’inadeguatezza del nostro sistema dell’Istruzione, come continuiamo ostinatamente a chiamarlo, nonostante assomigli sempre di più a un misurificio di incompletezze.

Sarà perché certe incongruenze nella scuola primaria sembrano avere la prerogativa di stonare ancora di più, ma davanti all’ingiunzione di compilare una scheda di valutazione io provo da sempre un’istintiva repulsione. Che si chiamino pagelle o in qualsiasi altro modo si definiscano, che ci siano i numeri o le lettere, il discorso non cambia. Il documento di valutazione resta comunque il prodotto di rifinitura di un sistema che fa del merito il suo vessillo più inoppugnabile. Così non può esserci spazio per altro che non sia il rilevamento di qualcosa che finisce per essere ingannevole e assomiglia più alla misurazione della pressione di una caldaia piuttosto che al racconto di un processo di crescita e maturazione.

Quello che la scuola non dice è cosa c’è dentro quei piccoli e meno piccoli studenti che la abitano cercando tutti una strada che li condurrà e divenire gli adulti di domani. Non solo. Quello che la scuola finge di non considerare è che qualsiasi percorso di apprendimento è il frutto di una relazione, un rapporto dialogico dove i soggetti sono due, alunno e insegnante, inseriti in un contesto di gruppo che è rilevante e rende quell’innesco unico e irripetibile. Invece cosa si fa? Si punta unicamente il dito verso lo studente e lo si misura col righello come se non esistessero altre variabili e altre responsabilità oltre le sue. Un’assurdità. Sarebbe come pretendere di dare un giudizio sul proprio partner estromettendoci da quell’analisi e limitandoci a descriverlo per come prepara la carbonara o per quanto velocemente sale le scale quando arriva a casa.

La scheda di valutazione andrebbe ripensata. Dovrebbe essere il resoconto sincero di una relazione. Dovrebbe raccontare, non misurare. Che i bambini nella scuola primaria in cinque anni arrivino tutti alle competenze basiche richieste dovrebbe essere perfino scontato. Sarebbe piuttosto necessario osservare a che punto siano nel percorso che li ha visti partire impreparati a gestire una sconfitta o una delusione, a dividere un successo, a convivere con la diversità, a riconoscere il valore di un bene comune, a comprendere la ragione di uno sforzo, la necessità dell’attesa, la fatica di un dovere.

Quello che la scuola non dice è cosa c’è nel cuore di ogni suo studente, quali sono i suoi pensieri, le sue paure, i suoi aneliti, in che modo sia capace di gestire ambizioni e frustrazioni, a che punto si trovi nel percorso di autoriconoscimento, di accettazione di sé, di inclusione in un gruppo che fa lo stesso viaggio, e come gestisca i gradi crescenti di responsabilità.

Allora lasciamo perdere le lettere e i numeri, che due volte all’anno appaiono all’orizzonte come tante palette alzate dai giudici al termine di una gara di ginnastica ritmica e non spiegano niente, confondendo circoscritte prestazioni con la reale essenza dei nostri ragazzi e il loro accendersi alla vita. Non facciamo il gioco di un sistema interessato a far uscire dal percorso scolastico essenzialmente dei lavoratori disciplinati e dei consumatori suggestionabili, indifferente a tutto il resto. Riconosciamo invece alla scuola il compito di dover far crescere correttamente degli uomini e delle donne. Tutto il resto verrà di conseguenza. Tutto il resto viene dopo.

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About RP McMurphy

Chito e RP McMurphy vivono a Roma, ma qualcuno giura di averli visti più volte dalle parti di Maracaibo. Hanno un amore dichiarato verso tutti i sud del mondo e un’istintiva simpatia per chi vive ai margini.
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