Non doveva finire così. Per Annibale nei giorni di Natale avevo messo delle prelibatezze lungo i suoi percorsi, libere da ogni trappola. L’idea era quella di una tregua. Passate le feste sarei tornato a occuparmi delle gabbiette inutili, cambiando le esche e soprattutto eliminando l’odore delle mie mani usando dei guanti in lattice. E invece no. Ancora una volta il piccolo roditore ha fatto quello che non mi sarei aspettato.
Pur avendo la possibilità di fare rifornimento a rischio zero mangiando serenamente altrove, Annibale ha cambiato strategia, abbandonando la consuetudine di farsi gioco dei trucchetti dell’uomo, come aveva fatto tranquillamente per mesi, scegliendo di entrare in una gabbietta questa volta senza precauzioni.
Non era quello il momento. L’influenza e la febbre alta per due giorni mi hanno fatto perdere di vista la nostra sfida. Così quando sono tornato alle normali abitudini quotidiane era troppo tardi.
Il piccolo combattente alla fine non mi ha lasciato la soddisfazione di una cattura utile a vederlo scappare via nella valle. Piuttosto l’amarezza per una disattenzione che ha significato la sconfitta di entrambi e il dispiacere di trovarlo senza vita. È andata così. Ma lo ricorderò come il topolino che ha tenuto sotto scacco l’Homo sapiens che credeva di essere tanto più intelligente di lui, arrivando perfino a farsi beffe del nome che lui gli aveva dato, come successe quando dimostrò di essere stato capace di arrampicarsi sulla libreria e sostare, lasciando le sue minuscole cacchette, tra tutti i posti possibili, incredibilmente proprio davanti al libro che raccontava le gesta del suo omonimo cartaginese.

