Non c’è bisogno di tirare in ballo Vygotskij, ma l’idea di impedire che bambini di età diverse condividano spazi comuni, come per esempio il cortile di una scuola durante la ricreazione, è pedagogicamente un errore. Purtroppo è proprio questa la strada che si preferisce percorrere quando si finisce per proibire alla mia prima elementare l’utilizzo di uno dei due cortili, diventato usufruibile esclusivamente dalla scuola materna.
Ignaro della nuova regola osservo i bambini della mia classe divertirsi perché al lavoro che abbiamo fatto sul quaderno ho fatto seguire un’attività di movimento e gioco all’aperto. Colpo di scena. Una maestra della materna, scelta dalle colleghe per essere una persona con cui sono sempre andato d’accordo, viene mandata con l’ingrato compito di portare questa antipatica ambasceria. Non potete stare qui, dice. I nuovi accordi tra i due ordini di scuola parlano chiaro. Questo cortile ora è solo per noi. Ma è vuoto, rispondo, scusa, voi quando pensavate di uscire? Tra mezz’ora risponde la maestra incaricata di riportarmi al rispetto delle regole. Beh, dì pure alle tue colleghe che non me ne vado. Mi facciano pure scrivere dalla vostra dirigente, dal sindaco, dal papa, da chi vogliono loro. Fino a qualche mese fa molti dei miei bambini erano nelle vostre classi, possibile che adesso provochino tanta preoccupazione?
Già. Perché il nodo della questione è questo qui. I fautori della rigida suddivisione per età nell’uso degli spazi comuni si trincerano dietro una drastica pretesa di sicurezza, sbandierando ai quattro venti la tesi secondo cui i bambini più grandi possono risultare pericolosi e minacciare l’incolumità dei più piccini. Il guaio è che il partito degli apocalittici, dirigenti in testa, quasi in ogni scuola detiene ormai il potere assoluto. Vietata ogni possibilità di dissenso e ogni organizzazione alternativa.
È evidente che la collisione tra un bambino di quinta che corre sbadatamente come un bufalo e un bambino molto più piccolo di lui che venisse a trovarsi sulla sua traiettoria potrebbe risultare rischiosa. Allora la scuola che fa? Impelagata nell’elaborazione di prove standardizzate, ossessionata dalla misura delle competenze e soffocata dalla burocrazia, non ha tempo per altro, e rinuncia al proprio compito primario, quello educativo. Così non va troppo per il sottile e per quanto possibile proibisce l’incontro tra quel bambino di quinta e la sua potenziale vittima. Una strada facile e sbrigativa, al posto dell’impegno che servirebbe per far crescere i suoi ragazzi nell’attenzione all’altro, nel rispetto delle sue peculiarità, declinando in ogni occasione possibile concetti come condivisione, inclusione, accoglienza.
Nella mia storia di maestro ho visto tante volte bambini più grandi, magari perfino giudicati difficili e maneschi, capaci di delicatezza e premure verso i più piccoli, li ho visti vestirsi di responsabilità, attenti e comprensivi, entrare in relazione con i più fragili anche meglio di quanto avrebbero potuto fare gli adulti. È questa l’unica scuola possibile. Invece no, la crociata del dividere i bambini dai bambini continua imperterrita.
Una volta intrapresa questa politica, imboccata la china del separare e compartimentare i bambini di una stessa scuola sulla frettolosa onda emotiva di una fantomatica protezione, ho idea che non ci si fermerà tanto facilmente. Perché ci sarà comunque sempre qualcuno da temere e tenere fuori. Intanto quest’anno anche all’interno della scuola primaria si assiste alla costruzione di nuovi recinti: i bambini di prima sono tutti confinati al primo piano, quelli di seconda relegati al secondo e così via. Di questo passo un giorno qualcuno inizierà a mettere quei recinti anche all’interno delle stesse classi, separando magari dagli altri il gruppo di coloro che un irreprensibile sistema di valutazione porterà a considerare come i migliori, con la pretesa di tutelarli e difenderli da chi ritarderebbe gli apprendimenti, colpevole di avere un passo diverso, colpevole di essere un peso e non una risorsa. Io davanti a una scuola così, come del resto davanti a ogni steccato, recinzione o palizzata, provo un istintivo e sano ribrezzo.
p.s.
In copertina un’illustrazione di Oliver Jeffers.

